Testamento biologico: profili di diritto comparato e nuove aperture legislative nazionali

Di Marilisa De Nigris -

Secondo la nota definizione – largamente recepita dalla successiva dottrina – offerta dal Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) nel parere del 18 dicembre 2003 sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento, il c.d. «testamento biologico» (o «testamento di vita», nella traduzione dalla espressione inglese living will) è «il documento con il quale una persona, dotata di piena capacità, esprime la sua volontà circa i trattamenti ai quali desidererebbe o non desidererebbe essere sottoposta nel caso in cui, nel decorso di una malattia o a causa di traumi improvvisi, non fosse piú in grado di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso informato».
Anzitutto, è necessario precisare che con l’allocuzione testamento biologico si fa riferimento ad un’attività del tutto distinta da quanto previsto codicisticamente dall’art. 587 c.c. tendente a prendere in considerazione quanto espresso volontariamente dal suo autore e soprattutto prima di qualsiasi evenienza, compresa la morte.
Secondo alcuni, quindi, è più corretto parlare di «dichiarazioni anticipate di trattamento» o «direttive anticipate di trattamento» (spesso indicate con l’acronimo DAT) o «direttive di fine vita». A ogni modo si deve rilevare che l’attenzione sulle questioni di fine vita – nel cui ambito si pone, senza peraltro esaurirle, il testamento biologico –, prima prevalentemente accademica, ha raggiunto il suo apice, in Italia, nel corso del primo decennio degli anni Duemila, in seguito ai notissimi casi giudiziari, relativi alle vicende umane di Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro, che hanno costituito i leading cases italiani in subjecta materia, dando grande impulso al dibattito sociale e politico sul tema in questione, sostanziatosi nella presentazione di diversi progetti di legge, nessuno dei quali peraltro finora giunto a compimento.
In concreto la Costituzione italiana sancisce che nessuno può “essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” (art. 32 Cost.); In definitiva, secondo l’interpretazione ormai nettamente dominante, la disponibilità del bene-salute (beninteso, da parte del suo titolare e non di terzi) discende con chiarezza dal citato secondo comma dell’art. 32 cost., che solennizza il diritto della persona a non essere sottoposta a trattamenti sanitari contro la propria volontà e il correlativo dovere – che si impone a ogni terzo, compresi i pubblici poteri – di non sottoporre coattivamente a un trattamento sanitario chi lo rifiuti.
La salute è, quindi, un diritto e non anche un dovere da parte del suo titolare, il quale non ha, di conseguenza, un obbligo di curarsi e mantenersi in buona salute, l’art. 13, poi, garantisce la libertà personale dell’individuo, dichiarandola «inviolabile», intendendosi per libertà sia quella fisica (coincidente col «rispetto della propria integrità corporea») sia quella morale, che si manifesta anche nell’autodeterminazione terapeutica.
l’Italia ha, inoltre, ratificato nel 2001 la “Convenzione sui diritti umani e la biomedicina” (legge 28 marzo 2001, n.145) di Oviedo del 1997 che stabilisce che “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento non è in grado di esprimere la propria volontà, saranno tenuti in considerazione”.
Dalla breve disamina è facile intuire come nel nostro Paese fino ad oggi sia rimasta ancora inadeguata la normativa in materia di biotestamento e fine vita in genere.
L’inadeguatezza della posizione italiana non trova ragion d’essere anche e soprattutto se posta in correlazione con quanto previsto in tale contesto da altri Stati.
Volendo brevemente analizzare, in modo sommario, detta disciplina in Europa possiamo notare come in Francia esiste dal 2005 una legge sui diritti del malato e sul fine della vita. Se una persona, cosciente, si trova in fase avanzata o terminale di una malattia non curabile e decide di limitare o interrompere i trattamenti medici, “il medico è tenuto a rispettare tale volontà” (ovviamente informando il paziente sulle conseguenze). La legge autorizza poi il medico a decidere di limitare o di interrompere le cure nel caso in cui il malato non possa esprimere la sua volontà. Ma la decisione deve tenere conto di orientamenti che il malato può aver espresso in precedenza e non può essere presa senza consultare un eventuale fiduciario o i parenti stessi. La normativa prevede le “direttive anticipate” che consentono a tutti di esprimere i propri orientamenti in detta materia e che devono essere allegate alla cartella clinica del malato (qualora siano state redatte: si tratta di un atto formale, scritto e firmato alla presenza di testimoni). Si può nominare con un semplice atto scritto un proprio fiduciario, familiare, parente o medico curante, da consultare in caso di sopraggiunta incapacità di esprimersi e in assenza delle direttive anticipate vale la decisione del fiduciario.

In Germania manca una legge specifica, ma è stata giudicata vincolante la “patientenverfugung”, atto di disposizione del paziente, non necessariamente scritto, che si riconduce al principio di autodeterminazione. Ognuno può nominare un curatore, ma allo stato attuale, in caso di discordia fra il curatore e il medico, la decisione finale spetta al giudice.

Nei Paesi Bassi esiste una legge del 2001 detta “Legge per il controllo di interruzione della vita su richiesta e assistenza al suicidio”, definita atto di “assistere intenzionalmente un altro al suicidio o fornirgli i mezzi”. È pertanto esclusa la punibilità di un medico che ha provocato la morte di un paziente consenziente. Ovviamente esistono dei criteri ben precisi per dare il via a questo atto: il medico dev’essere certo che il paziente abbia espresso la sua volontà in modo consapevole e dev’essere anche certo che il paziente soffra molto e non ci siano prospettive di miglioramento. Prima di procedere occorre comunque che sia espresso il parere di un secondo medico. Nel caso d’impossibilità di esprimersi del paziente fa fede un atto scritto del malato che richiede l’interruzione della vita in alcune circostanze, anch’esse vanno vagliate da più medici. La legge estende questo diritto anche ai ragazzi fra i 16 e i 18 anni, purché vengano coinvolti anche i genitori, e ai minorenni fra i 12 e i 16 a patto che i genitori siano d’accordo.

Nel Regno Unito nel 2005 è entrato in vigore il Mental Capacity Act che sancisce il valore della dichiarazione anticipata di volontà, scritta e firmata alla presenza di testimoni, che deve essere rispettata dai medici. Il Mental Capacity Act pone anche alcuni limiti alla possibilità di negare in via anticipata il consenso a cure mediche. Tra l’altro, non è ammesso dichiarare anticipatamente il rifiuto di cure di base – quali l’essere riscaldato, riparato, nutrito e idratato non artificialmente – o il rifiuto di ricevere cure per una malattia mentale. La dichiarazione anticipata può, invece, negare il consenso all’alimentazione e idratazione artificiali.

A fronte di quanto detto e considerato quanto previsto in altri Paesi dobbiamo considerare che negli ultimi giorni la questione del biotestamento e l’adeguamento degli standard normativi italiani in relazione alla materia in oggetto hanno subito una sensibile accelerazione.
Non possiamo non soffermarci sugli eventi che hanno quasi casualmente preceduto il testo ultimamente votato alla Camera.
Sembra quasi che i lavori parlamentari in materia abbiano avuto una accelerazione cruciale in merito in corrispondenza dielle storie di Walter Piludu, ex presidente della provincia di Cagliari malato di
Sla, morto ottenendo il distacco del respiratore: il Tribunale di Cagliari ha infatti autorizzato la struttura sanitaria dove si trovava a cessare i trattamenti. Ricordiamo, poi, il viaggio in Svizzera di Fabiano Antoniani, conosciuto come DJ Fabo. Arriva, così, il terzo rinvio all’approdo in Aula alla Camera del ddl sul biotestamento e a quasi due settimane dal suo appello al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
DJ Fabo si è fatto accompagnare in Svizzera da Marco Cappato, sesto malato aiutato in questo modo ad ottenere l’eutanasia dall’Associazione Coscioni. Da marzo 2015 la campagna Eutanasia legale ha “aiutato 233 persone a mettersi in contatto con i centri svizzeri per il suicidio assistito”, ha reso noto di recente il coordinatore Matteo Mainardi. Da ultimo, Davide Trentini, il 53enne malato di sclerosi multipla, ha seguito lo stesso iter.

Il testo del disegno di legge sul testamento biologico, in Italia, modificato ed approvato dall’Assemblea della Camera lo scorso 20 aprile, è pronto per essere trasmesso al Senato. Il provvedimento affronta i temi del consenso informato, disciplinandone modalità di espressione e di revoca, legittimazione ad esprimerlo e a riceverlo, ambito e condizioni, e delle disposizioni anticipate di trattamento, con le quali il dichiarante enuncia, in linea di massima, i propri orientamenti sul “fine vita” nell’ipotesi in cui sopravvenga una perdita irreversibile della capacità di intendere e di volere.
Il DDL si compone di 6 articoli, dall’esame dei quali si deduce che nessun trattamento e diagnosi può avere luogo senza il consenso informato del malato; il consenso informato al trattamento del minore è espresso o rifiutato dai genitori, tenendo tuttavia in conto la volontà del malato in relazione alla sua età e al suo grado di maturità. Il consenso della persona incapace è espresso o rifiutato dal tutore, considerando ove possibile la volontà del malato. Infine, nel caso di persona inabilitata, il consenso è espresso dal malato stesso. Nel caso in cui il rappresentante legale di persona minore o interdetta o inabilitata, in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento, rifiuti le cure proposte e il medico ritenga invece che queste siano appropriate e necessarie, la decisione è rimessa al giudice tutelare; sono introdotte le Disposizioni anticipate di trattamento che permettono di premunirsi nel caso di eventuali future incapacità di autodeterminazione, purché in pieno possesso delle facoltà mentali; tra medico e malato si instaura un rapporto che impone al primo di attenersi alla volontà del secondo qualora venisse a trovarsi nella condizione di non poter autodeterminarsi. L’atto di pianificazione delle cure può essere sempre modificato su richiesta del paziente; introduzione di una norma transitoria che convalida le scritture private sottoscritte prima dell’entrata in vigore della legge, mentre l’articolo 6 comprende una clausola di invarianza finanziaria per la quale l’attuazione della legge non dovrà comportare nuovi o maggiori oneri per le casse dello Stato.
Su diversi emendamenti – in totale sono oltre 200 – relativi a temi sensibili è stato chiesto il voto segreto.

Dalla sommaria analisi del DDL sembrerebbe che il legislatore tende a designare nuovi scenari nei quali essenzialmente si può auspicare maggiore dignità per il malato, una più ampia, seppur con le dovute cautele, libertà di scelta, ed una sorta di equiparazione decisionale del malato e del medico che potrà sì rifiutare di abbandonare le cure, ma dovrà anche recepire ed accettare le volontà di chi fino ad ora non ha avuto possibilità alcuna di decidere sul suo futuro.
Non si deve dimenticare che il diritto alla vita è un principio costituzionalmente garantito e dunque imprescindibile rispetto alle cure e a tutti gli altri tentativi ed attività esperibili.
Pertanto, il nuovo DDl si incammina verso scenari nuovi, ma di difficile comprensione da parte di chi riconosce il diritto alla vita in contrasto con il diritto alla libertà di morire.

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