Sicurezza europea. Condivisione delle informazioni tra Paesi UE, collaborazione in materia penale
Sabato 25 aprile 2017 è stata approvata una nuova normativa in attuazione della Convenzione europea in materia di assistenza giudiziaria penale. Su proposta del Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, del Ministro degli Affari Esteri, Angelino Alfano, e del Ministro della Giustizia, Andrea Orlando, il Consiglio dei Ministri ha difatti approvato, in modo definitivo, il decreto legislativo di attuazione della Convenzione relativa alla cooperazione fra Paesi dell’Unione europea in ambito giudiziario penale, stipulata nel maggio del 2000 a Bruxelles.
La decisione del Governo ha così risolto anche questioni di diritto intertemporale.
Invero, le disposizioni del provvedimento disciplineranno tutte le richieste di assistenza giudiziaria pervenute entro il 22 maggio 2017, successivamente a tale data esse verranno sostituite da quelle previste dalla direttiva 2014/41/Ue relativa all’ordine europeo di indagine penale, che era stata recepita in via preliminare con decreto del 17 marzo scorso. Il decreto enuncia la disciplina per la compiuta attuazione della Convenzione, strumento designato per potenziare le sinergie operative, dando risalto al contatto diretto fra le autorità giudiziarie europee.
Figura cardine diventa il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo di distretto chiamato a dare esecuzione alle richieste di cooperazione delle autorità degli altri Stati.
Il testo, inoltre, regola specifiche forme di assistenza, fra cui il trasferimento temporaneo di detenuti da e verso l’Italia, l’audizione mediante videoconferenza degli indagati, testimoni e periti e regola, poi, la costituzione di squadre investigative comuni.
Ampio spazio è dedicato alle intercettazioni di comunicazioni o di conversazioni, identificando gli adempimenti da compiere nei diversi casi. Gli stati collaborano tramite lo scambio di preventive informazioni oppure offrendo un supporto tecnico materiale allorquando perviene all’autorità che indaga la notizia che il dispositivo o la persona oggetto di controllo si trova sul territorio di altro Stato.
Dagli attentati di Bruxelles la linea degli Stati membri dell’UE, almeno negli intenti, sembra aver avuto delle modifiche. Dubbi permangono. “Ci troviamo di nuovo qui, con un’altra riunione straordinaria, ancora una volta in lutto a piangere vittime innocenti” e “ogni volta che ci riuniamo, ripetiamo le stesse cose: impegni parole che non servono a niente se non vengono attuate”, ammette lo stesso Commissario europeo per gli Affari Interni, Dimitris Avramopoulos. “Sono felice – afferma – di essermi trovato con i Ministri, ma non voglio solo parlare, qualcosa deve cambiare”.
Ad oggi, in effetti, ciò non è ancora accaduto. Gli Stati sono restii a condividere le proprie informazioni di intelligence che tendono a gestire in modo autonomo. Dopo agli attacchi di Parigi, si è dato vita ad un nuovo centro europeo antiterrorismo all’interno di Europol, ma le capitali non sembrano farne grande uso. “Gli Stati membri devono usarlo di più e meglio”, insiste Avramopoulos: “Abbiamo bisogno di parlare, i nostri sistemi devono parlare, non possiamo mettere i dati in scatole nere, devono essere messi in comune”, ripete instancabile. Oltre ad accelerare sulla messa in comune delle informazioni, l’idea, quantomeno in teoria, è quella di cambiare passo anche sull’approvazione dell’introduzione di controlli sistematici alle frontiere esterne per tutti i cittadini, ivi compresi quelli comunitari. L’idea era stata avanzata proprio dai Ministri dopo gli attacchi di Parigi, infatti, i Ministri chiedono un’accelerazione anche sull’approvazione del Pnr, il registro dei dati dei passeggeri aerei, bloccato ormai da mesi dalle resistenze del Parlamento europeo, che teme per i rischi sulla protezione dei dati personali. “Non possiamo perdere tempo con dossier fondamentali”, bacchetta Avramopoulos, insistendo “il Parlamento europeo deve adottarlo e deve farlo adesso”.
Le priorità dell’Unione nell’ambito della sicurezza sono state ridefinite nel Programma di Stoccolma, dal titolo “Un’Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini”, approvato nel 2010.
Dal documento emerge che l’Unione si prefigge:
1. una piena realizzazione dei diritti individuali. La cittadinanza europea e l’adesione dell’Unione alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo conferiscono al cittadino una serie di diritti: la libera circolazione, il rispetto delle diversità, i diritti degli imputati, la partecipazione alla vita democratica, la buona amministrazione e l’assistenza da parte delle autorità consolari al di fuori del territorio dell’Unione. L’UE mira a garantire che questi possano essere esercitati in maniera effettiva.
2. la creazione di uno spazio giudiziario europeo. Tutti i cittadini dell’Unione devono avere accesso alla giustizia e le autorità giudiziarie devono cooperare fra loro, ad esempio, per il riconoscimento delle sentenze, sia civili che penali. Inoltre, l’Unione deve creare un rapporto di collaborazione con i paesi terzi, in modo da creare sinergia fra l’ordinamento UE e quello internazionale.
3. la protezione dei cittadini. Nella strategia europea, la libertà va di pari passo con la sicurezza; é per questo che uno degli obiettivi dell’Unione consiste nel proteggere i cittadini dalla criminalità organizzata e dal terrorismo. A tal fine, è indispensabile la collaborazione nella gestione delle frontiere e nella protezione civile, tenendo presente la suddivisione di compiti che deve esistere fra UE e Stati. I settori di intervento saranno, ad esempio, la tratta di esseri umani, l’abuso sessuale sui minori, la criminalità informatica, la corruzione, il traffico di droga. Nel perseguire i suddetti obiettivi, l’Unione deve necessariamente avvalersi della collaborazione degli Stati terzi.
4. un accesso equilibrato al territorio dell’UE. L’Unione deve trovare un equilibrio fra due esigenze distinte, ma complementari: permettere ai cittadini di Stati terzi di entrare in Europa e allo stesso tempo garantire la sicurezza dei cittadini dell’Unione. Dunque, da un lato é necessario rafforzare i controlli delle frontiere per evitare fenomeni come l’immigrazione clandestina e la criminalità transfrontaliera, dall’altro gli individui e i gruppi in situazioni di vulnerabilità devono essere accolti.
5. la solidarietà come valore dell’Unione. La politica di migrazione dell’UE deve essere basata su solidarietà e responsabilità affrontando sia le necessità degli Stati membri sia di coloro che richiedono assistenza. Ciò implica il tenere conto delle esigenze del mercato del lavoro degli Stati membri, garantire i diritti dei migranti, contrastare l’immigrazione clandestina, e cooperare con i paesi terzi.
6. affrontare le sfide in un contesto globale. I problemi delineati non possono essere affrontati nella sola dimensione europea: è necessaria la cooperazione degli Stati terzi, con i quali gli Stati dell’UE devono tenere una linea comune. Questa cooperazione implica non solo scambio di informazioni, ma anche la promozione dei diritti umani e dei valori europei di giustizia e di solidarietà.