RIFLESSIONI SULLA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA 11 GENNAIO 2017 (CAUSA C-289-15)
La doppia incriminabilità
di Alessandro Parrotta * e Andrea Racca **
Premesse. Sin già dal rapporto della Commissione europea del 5 febbraio 2014[1] era emerso un quadro complicato in materia di mutuo riconoscimento delle sentenze che irrogano pene detentive e misure limitative della libertà personale (Decisione quadro 2008/909/GAI), la sospensione condizionale della pena, le pene sostitutive (Decisione quadro 2008/947/GAI) e il mutuo riconoscimento delle alternative alla detenzione cautelare (Decisione quadro 2009/829/GAI).
Sebbene l’area tematica di queste decisioni sia vastissima, comprendendo l’orizzonte del diritto penale internazionale e quello dei diritti fondamentali, l’obbiettivo di questa breve riflessione è puramente ricognitivo, ovvero ripercorrere il contenuto della recente sentenza dell’11 gennaio 2017 (causa C-289-15) della Corte di Giustizia Europea nell’ambito di un procedimento relativo al riconoscimento di una sentenza penale e all’esecuzione, in Slovacchia, di una pena detentiva irrogata da un giudice ceco nei confronti del sig. Jozef Grundza.
Tema. La sentenza risulta interessante poiché la domanda di pronuncia pregiudiziale verte proprio sull’interpretazione dell’articolo 7, paragrafo 3, e dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera d), della decisione quadro 2008/909/GAI del Consiglio, del 27 novembre 2008, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell’Unione europea (GU 2008, L 327, pag. 27), come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009 (GU 2009, L 81, pag. 24)[2].
La questione acquista rilevanza nel contesto attuale di iper-mobilità della popolazione, sopratutto in ambito di cittadini dell’Unione, in cui essa è garantita dall’abbattimento delle frontiere dell’area Shengen, ove accade sovente che si verifichino dei reati commessi all’estero ad opera di persone che ritornano negli stati di origine. Da sempre la cultura giuridica europea rivendica una cooperazione giudiziaria interstatuale, sia per conseguire il riconoscimento di effetti nello Stato di sentenze penali straniere, sia per ottenere all’estero l’esecuzione di sentenze penali nazionali.
In tal guisa, ai sensi della decisione quadro 2008/909, i diritti processuali nei procedimenti penali sono un elemento cruciale per assicurare la fiducia reciproca tra gli Stati membri nell’ambito della cooperazione giudiziaria.
I rapporti tra gli Stati membri, fondati su una particolare fiducia reciproca nei rispettivi ordinamenti giuridici, consentono allo Stato di esecuzione di riconoscere le decisioni delle autorità dello Stato di emissione. Pertanto, si dovrebbe considerare un ulteriore sviluppo della cooperazione contemplata dagli strumenti del Consiglio d’Europa in materia di esecuzione delle sentenze penali, in particolare nel caso in cui cittadini dell’Unione siano stati oggetto di una sentenza penale e siano stati condannati a una pena detentiva o a una misura privativa della libertà personale in un altro Stato membro.
L’Unione europea ha, infatti, fatto proprio il principio fondamentale che tutte le pene devono essere applicate secondo il fine ultimo di favorire il reinserimento sociale della persona condannata. Questo principio si attua anche quando il giudice dell’esecuzione deve applicare la sentenza penale emessa da un giudice di un altro Paese, condizione che impone, almeno in astratto, di ri-esaminare l’oggetto della responsabilità penale nei suoi elementi costitutivi, ai fini della verifica della c.d. doppia incriminabilità.
Nel caso di specie i Giudici del rinvio si sono posti il problema circa l’interpretazione degli art. 7 paragrafo 3 e 9 paragrafo 1 lett. d) della decisione quadro 2008/9090/GAI circa la sussistenza della c.d. doppia incriminabilità, ovvero se essa dovesse essere intesa in concreto, quando i fatti cui si riferisce la decisione da riconoscere costituiscano empiricamente reato anche secondo l’ordinamento giuridico dello Stato di esecuzione (indipendentemente dai suoi elementi costitutivi o dalla sua denominazione), o se per soddisfare tale condizione sia sufficiente che tali fatti costituiscano generalmente (in abstracto) reato anche secondo l’ordinamento giuridico dello Stato di esecuzione[3].
Giudizio. I giudicanti si sono infatti chiesti se l’articolo 7, paragrafo 3, e l’articolo 9, paragrafo 1, lettera d), della decisione quadro 2008/909 debbano essere interpretati nel senso che la condizione della doppia incriminabilità è soddisfatta in una fattispecie, come quella oggetto del procedimento principale, nella quale il riconoscimento della sentenza e l’esecuzione della pena vengono richiesti in relazione a fatti che sono qualificati, nello Stato di emissione, come «reato di inosservanza di una decisione formale commesso nel territorio dello Stato di emissione» e per i quali sussiste nell’ordinamento dello Stato di esecuzione un reato analogamente definito, mentre una norma nazionale di quest’ultimo Stato esige, affinché si configuri tale reato, che la decisione formale sia stata emessa da un’autorità che opera sul suo territorio.
Si pone pertanto un problema di elementi costitutivi del reato in concreto, che presuppone una valutazione più stringente del parametro da sempre utilizzato nel riconoscimento delle sentenze penali straniere. Da questo punto di vista, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, della decisione quadro 2008/909, per quanto riguarda i reati diversi dai 32 che sono elencati all’articolo 7, paragrafo 1, lo Stato di esecuzione può subordinare il riconoscimento della sentenza e l’esecuzione della pena alla condizione che essa si riferisca a fatti che costituiscono reato anche nel suo ordinamento, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione del reato stesso. In altri termini, tale disposizione permette allo Stato di esecuzione di subordinare il riconoscimento della sentenza e l’esecuzione della pena alla condizione che sia soddisfatto il criterio della doppia incriminabilità.
Dal canto suo, l’articolo 9 della decisione quadro 2008/909, relativo ai motivi di rifiuto di riconoscimento e di esecuzione, prevede, al paragrafo 1, lettera d), la facoltà per l’autorità competente dello Stato di esecuzione di rifiutare il riconoscimento della sentenza pronunciata nello Stato di emissione e l’esecuzione della pena, anch’essa inflitta in quest’ultimo Stato, nel caso in cui la condizione della doppia incriminabilità non sia soddisfatta[4]. Il problema degli elementi costitutivi del reato nella c.d. doppia incriminabilità deve tuttavia essere interpretato conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, per cui ai fini dell’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto dei termini della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (sentenze del 16 luglio 2015, Lanigan, C‑237/15 PPU, EU:C:2015:474, punto 35, e dell’8 novembre 2016, Ognyanov, C‑554/14, EU:C:2016:835, punto 31). Per quanto riguarda, in primo luogo, il disposto dell’articolo 7, paragrafo 3, della decisione quadro 2008/909, va ricordato, che tale disposizione definisce la portata della valutazione della doppia incriminabilità stabilendo che l’autorità competente dello Stato di esecuzione verifichi se i fatti di cui trattasi «costituiscano reato anche» secondo l’ordinamento nazionale, «indipendentemente dai suoi elementi costitutivi o dalla denominazione del reato stesso».
Considerazioni. Pertanto, tale diposizione sancisce un approccio flessibile, da parte dell’autorità competente dello Stato di esecuzione, al momento della valutazione della condizione della doppia incriminabilità, per quanto riguarda sia gli elementi costitutivi del reato sia la denominazione di quest’ultimo. L’elemento rilevante ai fini della valutazione della doppia incriminabilità, ai termini stessi dell’articolo 7, paragrafo 3, della decisione quadro 2008/909, consiste, così, nella corrispondenza tra gli elementi di fatto alla base del reato, quali risultano dalla sentenza dello Stato di emissione, da un lato, e la definizione del reato conformemente alla legge dello Stato di esecuzione, dall’altro. Emerge dalle suesposte considerazioni che, nel valutare la doppia incriminabilità, l’autorità competente dello Stato di esecuzione deve verificare se gli elementi di fatto alla base del reato, quali risultano dalla sentenza pronunciata dall’autorità competente dello Stato di emissione, sarebbero di per sé, nell’ipotesi in cui si fossero verificati nello Stato di esecuzione, penalmente perseguibili anche nel territorio di quest’ultimo. In secondo luogo, anche il contesto in cui si iscrivono l’articolo 7, paragrafo 3, e l’articolo 9, paragrafo 1, lettera d), della decisione quadro 2008/909 depone a favore di una siffatta valutazione della doppia incriminabilità. A tal proposito occorre osservare che, a norma dell’articolo 26, la decisione quadro 2008/909 sostituisce, nelle relazioni tra Stati membri, numerosi strumenti di diritto internazionale allo scopo di sviluppare ulteriormente, ai sensi del suo punto 5, la cooperazione in materia di esecuzione delle sentenze penali. Orbene, a differenza di tali strumenti di diritto internazionale, la decisione quadro 2008/909 si basa, anzitutto, sul principio del reciproco riconoscimento, che costituisce, conformemente al punto 1 di tale decisione quadro, letto alla luce dell’articolo 82, paragrafo 1, TFUE, il «fondamento» della cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione europea, la quale, secondo il predetto punto 5, è fondata su una particolare fiducia reciproca degli Stati membri nei rispettivi ordinamenti giuridici[5].
Conclusioni. Il principio del reciproco riconoscimento implica, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, della decisione quadro 2008/909, che, in linea di principio, l’Autorità competente dello Stato di esecuzione riconosca una sentenza trasmessa e adotti immediatamente tutti i provvedimenti necessari all’esecuzione della pena.
Come deducibile dal testo della decisione quadro 2008/909/GAI, se dall’art. 7 paragrafo 1 si indicano una serie di reati in cui l’accertamento della doppia incriminabilità è stato abolito, in virtù della loro intrinseca pericolosità, anche per gli altri reati la verifica della doppia incriminabilità resta pur sempre una facoltà. In tale contesto, detta facoltà permette agli Stati membri di rifiutare il riconoscimento della sentenza e l’esecuzione della pena per un comportamento che essi non considerino moralmente sbagliato e che, quindi, non costituisce reato.
Risulta dagli elementi suesposti che la condizione della doppia incriminabilità costituisce un’eccezione alla regola del principio del riconoscimento della sentenza e dell’esecuzione della pena. Il campo d’applicazione del motivo di rifiuto di riconoscimento della sentenza e di esecuzione della pena, derivante dall’assenza di doppia incriminabilità, definito all’articolo 9, paragrafo 1, lettera d), della decisione quadro 2008/909, deve essere interpretato quindi in maniera restrittiva, per limitare i casi di non riconoscimento e di non esecuzione.
La valutazione della doppia incriminabilità operata dall’autorità competente dello Stato di esecuzione, alla quale fa riferimento l’articolo 7, paragrafo 3, di detta decisione quadro, è volta, pertanto, a verificare se gli elementi di fatto costitutivi del reato, quali risultano dalla sentenza pronunciata dall’autorità competente dello Stato di emissione, sarebbero di per sé penalmente perseguibili anche nello Stato di esecuzione, qualora si fossero verificati nel territorio di quest’ultimo. Ciononostante, nel valutare la condizione della doppia incriminabilità, l’autorità competente dello Stato di esecuzione deve verificare non se l’interesse tutelato dallo Stato di emissione sia stato leso, ma se, nell’ipotesi in cui il reato in questione fosse stato commesso sul territorio dello Stato membro di detta autorità, si sarebbe ritenuto leso un interesse analogo, tutelato dal diritto nazionale di quest’ultimo Stato.
In terzo luogo, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della decisione quadro 2008/909, lo scopo di quest’ultima decisione è stabilire le norme secondo le quali uno Stato membro, al fine di favorire il reinserimento sociale della persona condannata, debba riconoscere una sentenza ed eseguire la pena. Orbene, un’interpretazione restrittiva dell’articolo 9, paragrafo 1, lettera d), di tale decisione quadro contribuisce a realizzare lo scopo di favorire il reinserimento sociale della persona condannata, in particolare in una fattispecie in cui, come nel procedimento principale, tale persona è un cittadino dello Stato di esecuzione.
Nel caso di specie, risulta dagli elementi sottoposti alla Corte che il sig. Grundza è stato condannato dall’autorità giudiziaria competente della Repubblica ceca per aver, in particolare, guidato un veicolo a motore nel territorio di tale Stato membro nonostante una decisione di un’autorità pubblica ceca glielo vietasse. Per valutare se la condizione della doppia incriminabilità sia soddisfatta nel procedimento principale, il giudice del rinvio, incaricato del riconoscimento e dell’esecuzione della sentenza di condanna, deve perciò verificare se tali elementi di fatto, vale a dire la guida di un veicolo a motore nonostante una decisione formale che la vietasse, nell’ipotesi in cui si fossero verificati nel territorio dello Stato membro cui appartiene detto giudice, sarebbero stati penalmente perseguibili secondo il diritto nazionale di quest’ultimo Stato. In caso di risposta affermativa, la condizione della doppia incriminabilità deve ritenersi soddisfatta.
Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve rispondere alla questione sottoposta che l’articolo 7, paragrafo 3, e l’articolo 9, paragrafo 1, lettera d), della decisione quadro 2008/909 devono essere interpretati nel senso che è da ritenere soddisfatta la condizione della doppia incriminabilità in una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale, allorché gli elementi di fatto costitutivi del reato, quali risultano dalla sentenza pronunciata dall’autorità competente dello Stato di emissione, sarebbero di per sé penalmente perseguibili anche nello Stato di esecuzione, qualora si fossero verificati nel territorio di quest’ultimo.
[1] REPORT FROM THE COMMISSION TO THE EUROPEAN PARLIAMENT AND THE COUNCIL on the implementation by the Member States of the Framework Decisions 2008/909/JHA, 2008/947/JHA and 2009/829/JHA on the mutual recognition of judicial decisions on custodial sentences or measures involving deprivation of liberty, on probation decisions and alternative sanctions and on supervision measures as an alternative to provisional detention. Bruxelles 05.02.2014.
[2] Ai sensi dell’articolo 7 della decisione quadro 2008/909, intitolato «Doppia incriminabilità»: I reati specificatamente indicati al comma 1, se punibili nello Stato di emissione con una pena detentiva o una misura privativa della libertà personale della durata massima non inferiore a tre anni e quali definiti dalla legge di detto Stato, danno luogo, ai sensi della presente decisione quadro e senza verifica della doppia incriminabilità del fatto, al riconoscimento della sentenza e all’esecuzione della pena irrogata. Per quanto riguarda i reati diversi da quelli elencati nel paragrafo 1, lo Stato di esecuzione può subordinare il riconoscimento della sentenza e l’esecuzione della pena alla condizione che essa si riferisca a fatti che costituiscono reato anche ai sensi della legge dello Stato di esecuzione, indipendentemente dai suoi elementi costitutivi o dalla denominazione del reato stesso.
* Alessandro Parrotta è avvocato penalista e professore presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi UniECampus, Novedrate (Co).
** Andrea Racca è dottore di ricerca presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino UNITO.
[3] Cfr. Sent. CGUEdel 11.01.2017 – causa C-289-15, pag. 8
[4] Risulta dalla decisione di rinvio che i fatti per i quali è stato condannato il sig. Grundza, e in particolare l’inosservanza di una decisione di un’autorità pubblica, non sono stati ritenuti, dall’autorità competente dello Stato di emissione, vale a dire la Repubblica ceca, riconducibili ai reati di cui all’articolo 7, paragrafo 1, della decisione quadro 2008/909. Pertanto, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 3, della decisione quadro 2008/909, il riconoscimento della sentenza del 3 ottobre 2014 e l’esecuzione della pena cumulativa di quindici mesi di detenzione sono subordinati alla conclusione, da parte dell’autorità slovacca competente, che i fatti oggetto di tale sentenza costituiscono reato anche secondo l’ordinamento giuridico slovacco, indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla denominazione del reato stesso nello Stato di emissione. Cfr. Sent. CGUEdel 11.01.2017 – causa C-289-15, pag. 9
[5] In tal senso CGUE sentenza dell’8 novembre 2016, Ognyanov, C‑554/14, EU:C:2016:835, punti 46 e 47.