Responsabilità degli enti: profili internazionali
A poco più di dieci anni dall’introduzione del d.lgs. 8.6.2001, n. 231, ancora molti restano le incognite in relazione ad una normativa di non frequentissima applicazione, ma certamente destinata ad assumere un ruolo sempre più centrale nella prassi penale italiana.
In detto contesto la legge 16 marzo 2006 n. 146, con la quale è stata ratificata e data esecuzione alla Convenzione ed ai Protocolli aggiuntivi delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea Generale il 15 Novembre 2000 ed il 31 maggio 2001, ha ulteriormente esteso il catalogo di reati rilevanti ai fini della responsabilità amministrativa degli enti ex. D.lgs. 231/2001. Da notare che in Italia il decreto legislativo 231/2001 ha ribaltato il brocardo latino societas delinquere non potest, introducendo la responsabilità penale per gli enti e le persone giuridiche. In realtà, la normativa prevista dal decreto 231, conosciuta come legge 231, anche se in realtà si tratta di un decreto legislativo, ovviamente, non prevede delle sanzioni penali stricto sunsu a carico di società ed enti.
La Convenzione, nata dalla necessità di elaborare uno strumento internazionale, è idonea a contrastare la criminalità organizzata che, negli ultimi decenni, con la progressiva apertura delle frontiere e delle economie nazionali, ha operato sempre più a livello transnazionale.
Il crimine, ed in particolare il crimine organizzato, è apparso sempre più impegnato in attività che, oltre ad avere un crescente grado di specializzazione, sono caratterizzate da uno scenario operativo geograficamente ed economicamente globale.
Non sono mancate critiche alla formulazione della norma, che risulterebbe caratterizzata da una certa debolezza prescrittiva, soprattutto rispetto ad altri modelli convenzionali affermatisi nell’ambito dell’Unione Europea.
Si è evidenziata, infatti, una carenza nella definizione dei criteri di imputazione della responsabilità in capo alle persone giuridiche, posto che la disposizione convenzionale non consente di distinguere tra i reati commessi dal vertice e quelli commessi dai sottoposti.
In secondo luogo manca un’enumerazione, sia pure esemplificativa e facoltativa, delle sanzioni interdittive che gli Stati sono chiamati ad introdurre, lasciandoli così completamente privi di guida nell’introduzione delle pene che incidono direttamente sull’attività dell’ente e che rappresentano invece un punto nevralgico per l’effettività di un sistema sanzionatorio nei confronti delle imprese.
Per quanto riguarda il concetto di persona giuridica, l’art. 10 non ne contiene una definizione, probabilmente con l’intento di non sovrapporne una propria a quelle nazionali. Tuttavia, questa neutralità non favorisce un pieno recepimento negli ordinamenti nazionali.
La Convenzione, nel parlare di legal persons, dovrebbe però riferirsi a tutti i soggetti collettivi diversi dalle persone fisiche, non permettendo quindi una delimitazione all’interno della categoria degli enti collettivi.
La norma, infine, non vincola gli Stati circa la natura giuridica della responsabilità in esame: la scelta, che risulta analoga a quelle già adottate negli altri strumenti convenzionali elaborati in seno all’Unione Europea, risponde all’esigenza di trovare il più ampio consenso possibile negli ordinamenti statali in cui continua a vigere il principio societas delinquere non potest.
La transnazionalità costituisce, pertanto, elemento condizionante la tipicità dell’illecito amministrativo, e quindi potrà darsi il caso dell’assoluzione dell’ente qualora il fatto non abbia assunto nella sua concretezza storica una dimensione transnazionale, nonostante una sostanziale estraneità di questo elemento al piano dell’offesa e dunque alle ragioni del punire. La scelta di condizionare la responsabilità dell’ente alla natura transnazionale del reato presupposto risulta non solo irragionevole, ma assolutamente stridente con l’impianto normativo della Convenzione stessa, tanto da sollevare il sospetto di un inadempimento degli obblighi convenzionalmente assunti con l’art. 10 della Convenzione.
La norma, che obbliga gli Stati ad introdurre la responsabilità delle persone giuridiche, difatti, non condiziona in nessun modo l’inserimento negli ordinamenti degli Stati parte della responsabilità delle legal persons alla natura transnazionale dei reati, né una simile limitazione sembra ricavabile in via ermeneutica.