Nuove proposte attuative in materia di whistle blowing
In seguito al verificarsi di un eclatante caso a livello internazionale è tornata in auge in modo preponderante la questione del whistleblowing.
Con riferimento al citato istituto giuridico, per un quadro generale aggiornato della protezione nei diversi Paesi, si rinvia al Rapporto pubblicato dall’OCSE nel marzo u.s.: Committing to effective Whistleblower protection, nel quale si sottolinea come si registrino continui progressi nelle discipline di salvaguardia del whistleblower, seppur con alcune difficoltà.
Se ne ricava che, a livello internazionale, si tende ancora ad imbattersi in notevoli difficoltà applicative sia di carattere teorico sia di carattere pratico, così come si registra nel nostro ordinamento a fronte di un consolidato riconoscimento dello strumento di prevenzione e contrasto della corruzione nei Paesi di common law.
Infatti, nonostante l’Italia abbia tentato di prendere in considerazione in modo concreto detta materia con l’adesione ad attività internazionali sulla corruzione, alle quali non è poi stato dato seguito concretamente, come la Convenzione ONU di Merida del 2003 contro la corruzione (UNCAC, art. 33), e la Convenzione civile del 1999 del Consiglio d’Europa sulla corruzione (art. 9), rimane ancora forte l’esigenza di dar vita ad una normativa organica idonea a gestire le situazioni riconducibili al whistleblowing.
La protezione del whistleblower è entrata per la prima volta formalmente nell’ordinamento italiano con la legge anticorruzione n. 190/2012 (c.d. legge Severino) art.54 bis.
La Camera dei Deputati ha recentemente approvato l’articolato Disegno di legge sulle “Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato”, volto a rafforzare la tutela del c.d. “whistleblower” che attualmente è pendente innanzi al Senato della Repubblica assorbito in altro disegno di legge (DDL S. 2208).
Il DDL in discussione al Senato si compone di due articoli.
Nello specifico, l’articolo 1 modifica l’attuale disciplina riferita ai lavoratori pubblici di cui all’articolo 54-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001, mentre l’articolo 2 è rivolto ai lavoratori del settore privato.
La riforma tendente a tutelare il lavoratore autore della segnalazione o denuncia da misure aventi effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro presenta alcuni elementi di novità.
L’ambito di applicazione della disciplina è esteso ai lavoratori pubblici diversi dai lavoratori dipendenti (collaboratori o consulenti), nonchè ai lavoratori, collaboratori e consulenti degli enti pubblici economici, a quelli degli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico, ai lavoratori e ai collaboratori di imprese fornitrici di beni o servizi e che realizzino opere in favore dell’amministrazione pubblica. Le disposizioni previste si applicano alle segnalazioni effettuate in buona fede e nell’interesse dell’integrità della pubblica amministrazione.
Riguardo ai possibili soggetti destinatari della segnalazione, la novella sostituisce il riferimento al superiore gerarchico con quello al responsabile della prevenzione della corruzione, figura presente in ogni pubblica amministrazione ai sensi dell’articolo 1, comma 7, della legge n. 190 del 2012.
Resta ferma l’ipotesi di segnalazione all’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC), per la quale sono previste modalità operative in tale ambito di una certa rilevanza, o di denuncia all’autorità giudiziaria ordinaria o contabile.
Si introduce, per il caso di adozione di una misura discriminatoria, una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro a carico del responsabile che abbia adottato la misura, fermi restando gli altri profili di responsabilità. La sussistenza di una misura discriminatoria è accertata dall’ANAC, che è altresì competente ad irrogare la relativa sanzione.
Si modifica anche la tutela della riservatezza circa l’identità dell’autore della segnalazione, limitando la vigente deroga al principio di riservatezza al caso in cui la conoscenza dell’identità sia indispensabile per la difesa dell’incolpato, purchè la contestazione sia fondata, anche solo parzialmente, sulla segnalazione e solo in presenza di consenso dell’interessato.
Si conferma, invece, che alle segnalazioni in oggetto non si applica la disciplina sul diritto di accesso agli atti di cui alla legge n. 241 del 1990.
È affidata all’ANAC, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, la predisposizione di linee guida per la gestione delle segnalazioni in modo da garantire la riservatezza del dipendente segnalante. Sono previsti meccanismi sanzionatori sia per i casi di assenza di procedure per l’inoltro e la gestione delle segnalazioni, sia per i casi di adozione di procedure non conformi a quelle previste dalla normativa. L’accertamento di tali violazioni e l’irrogazione della sanzione sono di competenza dell’ANAC.
L’applicazione delle tutele non è garantita nei casi in cui sia accertata, anche con sentenza di primo grado, la responsabilità penale del segnalante per i reati di calunnia o diffamazione o comunque per reati commessi con la medesima segnalazione ovvero la sua responsabilità civile, per lo stesso titolo, nei casi di dolo o colpa grave. Se al termine del procedimento penale, civile o contabile ovvero dell’attività di accertamento dell’ANAC risultino l’infondatezza della segnalazione e la mancanza di buona fede da parte del segnalante, questi è sottoposto a procedimento disciplinare, che può concludersi anche con il licenziamento senza preavviso.
L’articolo 2 del disegno di legge estende, poi, al settore privato la tutela del dipendente o del collaboratore che segnali illeciti, attraverso modifiche all’articolo 6 del decreto legislativo n. 231 del 2001. In particolare, è integrata la disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti privati derivante da reato.
Infine, si sancisce la nullità dei licenziamenti o di altre misure ritorsive o discriminatorie adottati nei confronti del segnalante, ivi compreso il mutamento di mansioni, e si pone a carico del datore di lavoro l’onere della prova che le misure organizzative adottate successivamente alla segnalazione siano fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa.