L’istituto della recidiva

Di Andrea Baiguera Altieri -
  1. Profili de jure condito.

Il recidivo è colui che, dopo essersi reso responsabile di un delitto non colposo, ne commette un altro.

Art. 99 C.p. – Recidiva.

Chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro, può essere sottoposto ad un aumento di un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo

La pena può essere aumentata fino alla metà:

  1. se il nuovo delitto non colposo è della stessa indole
  2. se il nuovo delitto non colposo è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente
  3. se il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l’esecuzione della pena, ovvero durante il tempo in cui il condannato si sottrae volontariamente all’esecuzione della pena.

Qualora concorrano più circostanze tra quelle indicate nel secondo comma, l’aumento della pena è della metà.

Se il recidivo commette un altro delitto non colposo, l’aumento della pena, nel caso di cui al primo comma, è della metà e, nei casi previsti dal secondo comma, è di due terzi.

Se si tratta di uno dei delitti indicati nell’ art. 407 comma 2 lett. a) del C.p.p., l’aumento della pena per la recidiva è obbligatorio, e, nei casi indicati nel secondo comma, non può essere inferiore ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto.

In nessun caso, l’aumento di pena, per effetto della recidiva, può superare il cumulo delle pene risultante dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo.

Nella fattispecie della recidiva internazionale, agli effetti dell’Art. 99 C.p., risulta validamente precettiva anche una Sentenza di condanna straniera, purché già passata in giudicato e compatibile con l’Ordinamento penale italiano. Nella fattispecie della recidiva internazionale, la reciprocità è tassativa. Per conseguenza, è necessario che tale condanna definitiva non italiana sia iscritta nel casellario giudiziale “a titolo costitutivo” e non semplicemente “a titolo informativo”.

Ai fini della configurabilità dell’Art. 99 C.p., si tiene conto anche delle condanne colpite da una “causa di estinzione della punibilità”, ovverosia l’amnistia, l’indulto o la prescrizione della pena. Viceversa, sempre all’interno del campo precettivo dell’Art. 99 C.p., non rilevano, ai fini della constatazione della recidiva, le Sentenze di condanna prive di ogni effetto penale per risoluzione del reato o per riabilitazione.

Nei Lavori Preparatori all’Art. 99 C.p., si afferma che “la recidiva consiste in una circostanza aggravante ad effetto speciale (in quanto può determinare un aumento di pena superiore ad un terzo). Essa comporta un più grave trattamento sanzionatorio per chi sia ricaduto nel delitto, nonostante una precedente condanna, in quanto il reo non ha dimostrato alcun pentimento e non ha compreso la funzione rieducativa [ex comma 3 Art. 27 Cost.] della pena precedentemente inflittagli […]. Che si tratti di una circostanza aggravante lo si desume dall’efficacia extra-edittale che assume, al fine della determinazione della pena, fungendo come strumento di commisurazione della pena medesima”.

L’applicazione dell’Art. 99 C.p. non è automatica per il solo fatto che il reo abbia commesso un secondo delitto non colposo, ovverosia il Magistrato del merito può applicare l’Art. 99 C.p. soltanto dopo un’accurata osservazione personologica del soggetto agente. Tale esame personalizzato e contestualizzato viene richiesto anche da Cass., sez. pen. I, 21 marzo 2013, n. 13398, poiché “la recidiva, come confermato più volte dalla Giurisprudenza di legittimità, non è uno status soggettivo [distrattamente o matematicamente] desumibile dal certificato penale, ovvero dal contenuto dei provvedimenti di condanna emessi nei confronti di una persona; sicché [la recidiva], per produrre effetti penali, dev’essere ritenuta, o meno, dal Giudice nel processo di cognizione, dopo una sua regolare contestazione in tale sede […]. Di conseguenza, non è consentito al Giudice dell’esecuzione desumere la recidiva dall’esame [numerico] dei precedenti penali, in mancanza di detto accertamento [personologico, non algebrico]”. Il “pluri-pregiudicato”, quindi, non è automaticamente dichiarato “recidivo” per il solo fatto di avere, nel proprio Casellario, più di un solo precedente. Siffatta necessità “contestualizzatoria” e “personalizzante” è ribadita anche da Cass., sez. pen. VI, 3 dicembre 2010, n. 43438, a parere della quale “in caso di contestazione della recidiva […] il Giudice è tenuto a verificare, in concreto, se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, al tipo di devianza di cui essi sono il segno, alla qualità ed al grado di offensività dei comportamenti, alla distanza temporale tra i fatti ed al livello di omogeneità esistente tra loro, all’eventuale occasionalità della ricaduta e ad ogni altro parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali”. Come si può notare, i “parametri individualizzanti” citati da Cass., sez. pen. VI, 3 dicembre 2010, n. 43438 stanno ad indicare la assoluta non automaticità precettiva dell’Art. 99 C.p. La recidiva, qualora dichiarata, è tale sotto un profilo qualitativo e non quantitativo. Talune Sentenze di legittimità hanno ironicamente affermato che i precedenti penali “si pesano, non si contano”. Dunque, anche nella fattispecie di cui all’Art. 99 C.p., il Magistrato del merito non è equiparabile ad un calcolatore automatico che segna “+ 1“, giacché non tutti i pluripregiudicati sono anche recidivi. Tutto dipende dalla valutazione qualitativa e contestualizzata degli episodi infrattivi plurimi, poiché la recidiva è una variabile legata alla personalità del condannato e non alla quantità dei reati commessi.

Nei Lavori Preparatori all’Art. 99 C.p., si menzionano, in maniera schematica, alcuni fattori che sovente recano alla recidiva. Un primo fattore di rischio è la “personalità del reo”, il quale risulta caratterialmente vulnerabile dopo l’esperienza della carcerazione. Oppure, si pensi ai “fattori ambientali”, come la famiglia, lo scarso reddito ed i legami amicali. Molto dipende pure dagli “effetti negativi del regime di detenzione”, nel quale la rabbia sopita contribuisce alla crescita di una personalità ancor più aggressiva. Infine, non va dimenticata l’oggettiva “difficoltà nel reinserimento sociale”, giacché la collettività nega la propria fiducia a chi è passato attraverso l’esperienza del carcere.

Non tutte le correnti dottrinarie sono favorevoli all’esistenza dell’Artt. 99 nel Codice Penale italiano. La “concezione oggettivistica” sottolinea, infatti, che al reato deve sempre corrispondere una determinata sanzione senza avere riguardo agli eventuali precedenti riportati dal soggetto agente. Secondo la concezione oggettivistica, l’evento infrattivo, per ragioni di equità, va giudicato nella sua materialità, a prescindere dall’eventuale tendenza alla recidiva manifestata dal reo. All’opposto, la “concezione soggettivistica” reputa che il delitto non colposo può essere compiutamente valutato soltanto se si pone attenzione anche alla “volontà criminale aggravata” del responsabile. A parere della concezione soggettivistica, l’analisi del tipo di dolo recato dal delinquente è essenziale, in tanto in quanto fa emergere l’anti-socialità e la mancanza di rispetto delle regole da parte dell’imputato recidivo. Dunque, nell’ottica della concezione soggettivistica, l’Art. 99 C.p., che è una circostanza aggravante molto pesante, rivela che il criminale manifesta una totale noncuranza nei confronti delle ordinarie regole della pacifica ed ordinata convivenza sociale. D’altra parte, il comma 1 Art. 27 Cost. ricorda e statuisce che “la responsabilità penale è personale” e, per conseguenza, l’istituto della recidiva ex Art. 99 C.p. aiuta il Magistrato del merito a contestualizzare, in maniera più integrale ed idonea, la specifica personalità individuale dell’infrattore. Dunque, l’Art. 99 C.p. risponde a quella necessità di “contestualizzazione” che costituisce una delle caratteristiche fondamentali della valutazione giurisprudenziale di merito. Né, tantomeno, va dimenticata la special-preventività che connota l’aggravante della recidiva. Infatti, in ultima analisi, il recidivo, attraverso la commissione del nuovo delitto non colposo, si dimostra refrattario alla ratio di rieducazione che, ex comma 3 Art. 27 Cost., rappresenta il fondamento dell’intero sistema carcerario. Pertanto, le aggravanti di pena di cui all’Art. 99 C.p. rispondono all’esigenza ordinamentale di un “supplemento di rieducazione”, ammesso e non concesso che tale approccio ipertroficamente retribuzionista sortisca realmente degli effetti positivi. Siffatta “personalizzazione rieducativa” si manifesta anche, in primo luogo, nella scelta del Legislatore di inserire l’Art. 99 C.p. nel Titolo IV, afferente alla “personalità del reo”, dunque ai profili soggettivi dell’infrazione, giacché una rinnovata riabilitazione afferisce alla soggettività del responsabile e non all’oggettività materiale del reato. Un altro elemento che rimarca la soggettività dell’Art. 99 C.p. consta nel fatto che, in buona sostanza, il recidivo è automaticamente qualificato come un “soggetto pericoloso per la collettività”. Di nuovo, quindi, prevale una concezione soggettivistica dell’Art. 99 C.p., in tanto in quanto la reiterazione del delitto non colposo fa scattare una rafforzata necessarietà della ratio rieducativa di cui al comma 3 Art. 27 Cost. La recidiva è sintomo di una disfunzionalità del soggetto, il quale va riabilitato con maggiore severità pedagogica; il tutto fatto salvo il frequente insuccesso della presunta “riabilitatività” dell’Ordinamento carcerario. Molti Autori, in Dottrina, alla luce del comma 3 Art. 27 Cost., parlano dell’Art. 99 C.p., alla stregua di una norma “responsabilizzante”, ma, a parere di chi redige, il trattamento penitenziario raramente realizza la ratio rieducativa imposta/proposta dalla Carta fondamentale. I numerosi fallimenti del sistema carcerario invitano a riflettere seriamente sulla reale efficacia risocializzante dell’Art. 99 C.p.

  1. La recidiva semplice

La recidiva è semplice quando il reo ha commesso un secondo delitto non colposo, ma tale seconda infrazione è “di diversa indole” rispetto al primo illecito. In tal caso, la pena è aumentata fino ad un terzo della pena da infliggere per il nuovo reato.

La problematica principale è se la recidiva semplice sia applicabile anche nel caso in cui la prima condanna sia consistita solo in misure di sicurezza.

Nei casi, per il primo illecito, di comminazione di una misura di sicurezza ad un non imputabile (perché infermo di mente o minorenne), non vi può essere condanna, dunque, tantomeno, si potrà applicare il trattamento aggravato per recidiva di cui all’Art. 99 C.p.

Nei casi, per il primo illecito, ex Art. 115 C.p. di:

  1. comminazione di una misura di sicurezza nel caso di accordo per commettere un delitto poi non commesso;
  2. comminazione di una misura di sicurezza nel caso di istigazione ad un delitto non accolta dall’istigato;
  3. comminazione di una misura di sicurezza nel caso di istigazione ad un delitto accolta dall’istigato, ma senza poi aver commesso il delitto;

In tutti questi tre casi, l’Art. 99 C.p. è applicabile al secondo delitto non colposo, perché l’Art. 115 C.p. giuridifica casi di “pericolosità sociale” e l’Art. 99 C.p. reca la medesima ratio di contenere “soggetti socialmente pericolosi”.

  1. La recidiva aggravata

La recidiva aggravata, ex comma 2 Art. 99 C.p., si distingue in tre sotto-categorie:

  1. la recidiva specifica: il nuovo delitto non colposo è della stessa indole del primo delitto non colposo, per il quale è intervenuta la prima condanna già passata in giudicato;
  2. la recidiva infra-quinquennale: il nuovo delitto non colposo è stato commesso a meno di cinque anni dalla prima condanna;
  3. la recidiva vera: il nuovo delitto non colposo è stato commesso durante o dopo l’espiazione della prima condanna. Oppure, il nuovo delitto non colposo è stato commesso mentre il condannato era latitante a séguito della prima condanna già passata in giudicato.

La recidiva aggravata comporta un aumento di pena fino alla metà. Tale aumento è pari alla metà se concorrono più tipi di recidiva aggravata. Tuttavia, come specificato da Cass., sez. pen. III, 21 gennaio 2011, n. 1861, in caso di una delle tre tipologie di recidiva aggravata, l’aumento della pena, nel massimo, è fino alla metà, ma, nel minimo, questo aumento non può essere inferiore ad un terzo.

Uno dei più grandi problemi definitori, nell’ambito della recidiva aggravata ex comma 2 Art. 99 C.p., è quello di qualificare il senso dei lemmi “reato della stessa indole”. In Dottrina, il criterio della “valenza oggettiva” afferma che il primo ed il secondo reato sono “della stessa indole” quando entrambi ledono il medesimo bene giuridico degno di tutela. Viceversa, secondo il criterio della “valenza soggettiva”, il primo ed il secondo delitto sono “della stessa indole” quando entrambi sono stati cagionati dal medesimo movente che ha spinto il reo a delinquere tanto la prima quanto la seconda volta.

Sotto il profilo storico-giuridico, il Codice Zanardelli, all’Art. 82, unificava il criterio della valenza oggettiva con quello della valenza soggettiva. Ovverosia, erano “della stessa indole”:

  1. i reati identici, che violavano entrambi il medesimo Articolo del C.p.
  2. i reati omogenei, che erano entrambi riferiti a delitti giuridificati dal medesimo Capo del C.p.
  3. i reati omogenei atipici, che giuridificavano entrambi vari delitti di Capi diversi del C.p., ma uniti dal medesimo movente.

Il Codice Penale attualmente vigente ha abbandonato la tripartizione del Codice Zanardelli, ma ha proseguito nel congiungere, in tema di “reati della stessa indole”, il criterio della “valenza oggettiva” con quello della “valenza soggettiva”. Anzi, oggi esiste, provvidenzialmente, la definizione autentica di “reati della stessa indole” ex Art. 101 C.p., secondo il quale “agli effetti della legge penale, sono considerati reati della stessa indole non soltanto quelli che violano una stessa disposizione di legge [criterio della valenza oggettiva, ndr], ma anche quelli che, pur essendo preveduti da disposizioni diverse di questo codice, ovvero da leggi diverse, nondimeno, per la natura dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li determinarono [criterio della valenza soggettiva, ndr] presentano, nei casi concreti, caratteri fondamentali comuni”. Come si può notare, sia l’Art. 99 C.p., sia l’Art. 101 C.p., rinvengono la propria ratio di base nella repressione dell’eventuale carriera criminale di un pregiudicato manifestatosi, con la recidiva, refrattario alla clausola generale della rieducazione ex comma 3 Art. 27 Cost.

Un ulteriore problema, nella fattispecie della “recidiva vera”, consta nella corretta interpretazione dei lemmi “durante o dopo l’esecuzione della pena”. Il nodo da sciogliere consta nel fatto che la “pena” non è solo quella “detentiva”, ma anche quella “pecuniaria”, il cui pagamento può ben essere oggetto di periodici ammortamenti. In Dottrina, negli Anni Duemila, si è optato per un’ermeneutica dilatata del lemma “pena”, la quale, agli effetti dell’Art. 99 C.p., può consistere anche sia in una pena pecuniaria, sia in una pena alternativa alla detenzione classica di tipo “intra-murario”. Anzi, secondo un orientamento esegetico ormai divenuto maggioritario, i lemmi “durante […] l’esecuzione della pena”, ex n. 3 comma 2 Art. 99 C.p., ricomprendono ogni beneficio espiativo extra-/semi-murario, come la semidetenzione, la libertà controllata e, in generale, tutte le misure sostitutive delle pene detentive brevi.

  1. La recidiva reiterata

Si ha “recidiva reiterata” quando il reo, già dichiarato recidivo, commette un ulteriore delitto non colposo. A sua volta, la recidiva reiterata si distingue in semplice o aggravata. La recidiva reiterata è “semplice”, con un aumento della pena della metà, quando l’ulteriore delitto è di indole diversa da quelle precedenti. Viceversa, la recidiva reiterata è “aggravata”, con un aumento di pena di due terzi, quando l’ulteriore delitto (dal terzo in poi) è sussumibile entro le categorie della “recidiva aggravata”, “specifica”, “infra-quinquennale” o “vera”. In buona sostanza, secondo la prevalente Giurisprudenza di legittimità, incorre nella recidiva reiterata il pregiudicato che abbia già riportato almeno due condanne passate in giudicato e che sia già stato dichiarato recidivo.

A parere di Cass., sez. pen. IV, 13 settembre 2013, n. 37759, “nel caso della continuazione tra reati, il fatto che i reati siano stati commessi da un recidivo reiterato fa sì che l’aumento di pena non possa essere inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave. Infatti, non esiste incompatibilità tra gli istituti della recidiva e della continuazione, potendo quest’ultima essere riconosciuta anche tra un reato già oggetto di condanna irrevocabile ed un altro commesso successivamente alla formazione di detto giudicato”.

  1. La recidiva obbligatoria e quella facoltativa

Dopo decenni di aporie interpretative, Corte Costituzionale 185/2015 ha chiarito che la dichiarazione della recidiva, ex Art. 99 C.p., non è né automatica né obbligatoria. Pertanto, l’applicazione, o meno, dell’Art. 99 C.p. dipende dal concreto e libero apprezzamento del Magistrato del merito, al quale compete la valutazione del grado di pericolosità collettiva del pregiudicato.

Come normale, la dichiarazione di recidiva va motivata. A tal proposito, Cass., SS.UU., 15 febbraio 2012, n. 5859 opta per una motivazione estremamente sintetica, ovverosia: “lo specifico onere motivazionale [sull’Art. 99 C.p.] da parte del Giudice […] può, tuttavia, essere adempiuto anche implicitamente, ove si dia [succintamente] conto [solo] della ricorrenza dei requisiti di riprovevolezza della condotta e di pericolosità [in generale] del suo autore”. Altri Precedenti di legittimità, invece, optano per un automatismo precettivo che non richiede alcuna motivazione. P.e., Cass., sez. pen. V, 11 gennaio 2010, n. 711 afferma che “non sussiste alcun obbligo di specifica motivazione per la decisione di aumento della pena per la recidiva ex commi 3 e 4 Art. 99 C.p., trattandosi di un aggravamento [matematico] previsto dalla legge quale effetto delle condizioni soggettive dell’imputato”. Ora, è evidente che Cass., sez. pen. V, 11 gennaio 2010, n. 711 contraddice la non automaticità della recidiva ex Corte Costituzionale 185/2015. Da segnalare è pure Cass., sez. pen. IV, 22 settembre 2009, n. 36915, a parere della quale “in tema di recidiva […] il Giudice ha l’obbligo di puntuale motivazione solo quando esclude la circostanza e non anche quando la ritiene”.

La natura non precettivamente automatica dell’Art. 99 C.p. è confermata, oltre che da Consulta 185/2015, anche da Cass., sez. pen. VI, 23 ottobre 2013, n. 43288, secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’Art. 99 C.p., “sono assenti automatismi valutativi vincolanti per il Giudice”. In buona sostanza, come rimarcato anche da Cass., sez. pen. II, 9 febbraio 2012, n. 4969, l’Art. 99 configura, in definitiva, un’aggravante speciale la cui applicazione, o meno, dipende, soprattutto ed anzitutto, dai criteri di maggiore o minore gravità enunziati nell’Art. 133 C.p. Dunque, l’applicabilità o la non applicabilità dell’Art. 99 C.p. non è mai “algebrica”, poiché tutto dipende dalla valutazione complessiva della “gravità oggettiva” e della “capacità [soggettiva] a delinquere del colpevole” ex commi 1 e 2 Art. 133 C.p. Non esistono parametri algebrici per valutare la sussistenza, o meno della recidiva, così come sancito da Corte Costituzionale 185/2015 e, già prima del 2015, pure dalla maggior parte dei Precedenti di legittimità degli Anni Duemila. Similmente, Cass., sez. pen. I, 13 aprile 2017, n. 18546, in sintonia con Consulta 185/2015, ha ribadito che non deve esistere una recidiva ad applicazione obbligatoria, in tanto in quanto necessita, da parte del Magistrato del merito, un apprezzamento contestualizzato, e non automatico, dei precedenti penali dell’imputato. Mai e poi mai si deve fondare l’Art. 99 C.p. su di un puro calcolo numerico dei reati commessi, disgiunto dai ben più organici parametri valutativi oggettivi e soggettivi di cui all’Art. 133 C.p. Allo stesso modo, Cass., sez. pen. II, 8 settembre 2016, n. 37385 ribadisce la non automaticità della recidiva, in tanto in quanto l’applicazione, o meno, dell’Art. 99 C.p. richiede una valutazione complessiva del carattere del reo, e non un’arida sommatoria matematica dei suoi precedenti penali risultanti dal Casellario. In Giurisprudenza, tuttavia, l’applicazione obbligatoria, di fatto, dell’Art. 99 C.p. sussiste ancora per delitti estremamente anti-sociali ed anti-giuridici, come l’associazione per delinquere di stampo mafioso, l’estorsione aggravata ed il sequestro di persona a scopo di estorsione.

  1. Storia della recidiva: i Progetti successivi all’unità d’Italia

Nei Lavori Preparatori al Codice Zanardelli, si affermava che “è più turpe e degna di maggiore riprovazione sociale la recidiva specifica e non quella generica”. Ovverosia, nell’Avamprogetto del C.p. Zanardelli, si reputava meno tollerabile la reiterazione di reati “della stessa indole”, mentre è socialmente più comprensibile la ripetizione di precedenti aventi ad oggetto delitti non colposi tra di loro eterogenei. Tuttavia, nella stesura definitiva, il C.p. Zanardelli venne a contemplare sia la recidiva specifica, sia quella generica, in tanto in quanto, come asserito nella Relazione di accompagnamento, “entrambe le fattispecie mostrano un certo dispregio verso l’Autorità della Legge“. Si creò, quindi, un sistema misto, che prevedeva e puniva tanto la recidiva generica quanto quella specifica. Una prima novità, nel C.p. Zanardelli, consisteva nel fatto che la recidiva, generica o specifica che fosse, veniva dichiarata, in maniera automatica, anche se la/le precedente/i condanna/e non era/ erano state espiate. In secondo luogo, perché vi fosse recidiva, il nuovo delitto non colposo doveva essere commesso entro 10 anni da una precedente condanna intra-muraria, oppure entro 5 anni da una precedente condanna attenuata. In terzo luogo, la “recidiva generica” comportava il divieto, per il Giudice, di comminare, per il reato successivo, il minimo edittale della pena; invece, nella “recidiva specifica”, il Magistrato era tenuto ad aumentare la pena detentiva per il nuovo reato, con un correlato inasprimento del regime carcerario. Anche i Lavori Preparatori del 1876 (f.ti Mancini) asserivano che la recidiva “generica” è meno grave di quella “specifica”, ossia “nel recidivo, non è la pena che, per sé medesima, si riveli insufficiente, ma è la rinnovata azione delittuosa che manifesta in lui una malvagia e perniciosa persistenza nello sfregio della Legge. Or, non si può disconoscere che questo carattere di maggior gravità indubbiamente si presenta nel fatto di coloro che ricadono nel malefizio, dimostrano di essere governati sempre dalla medesima rea passione, cui prima obbedirono. Ed in ciò ancora consiste, per la società, il cresciuto pericolo che vuolsi combattere col minacciato aumento di repressione. Quindi, la recidiva che davvero merita tal nome, quella per cui solo si giustifica in tutti i casi l’esasperazione della pena, è la recidiva specifica”. Tuttavia, nei Lavori Preparatori del biennio 1873-1874, De Falco e Vigliani reputavano che andasse prevista anche la recidiva generica, in tanto in quanto sintomo di “una vita del colpevole immorale e diffamata, sufficiente a far applicare un aumento di pena”.

  1. La recidiva nel Codice Penale Zanardelli

Nel C.p. Zanardelli, la recidiva, tanto generica quanto specifica, si configura come una circostanza aggravante ad applicazione automatica. Inoltre, la recidiva è infra-decennale per i reati che comportano una pena detentiva intra-muraria ed infra-quinquennale per i reati che comportano una pena attenuata.

L’Art. 80 C.p. Zanardelli recita che

“Colui che, dopo una sentenza di condanna e non oltre i dieci anni dal giorno in cui la pena fu scontata o la condanna estinta, se la pena era superiore ai cinque anni di durata, o non oltre i cinque anni negli altri casi, commette un altro reato, non può essere punito con il minimo della pena incorsa per il nuovo reato.

Se il nuovo reato sia della stessa indole [recidiva specifica, ndr] di quello per il quale è stata pronunziata la precedente condanna, il colpevole soggiace ad un aggravamento della pena incorsa secondo le norme seguenti:

  1. se la pena incorsa per il nuovo reato sia la reclusione, la durata ordinaria della segregazione cellulare continua è aumentata di un sesto della pena stabilita per il reato commesso […]
  2. se la pena incorsa per il nuovo reato sia diversa dalla reclusione, essa è aumentata da un sesto ad un terzo

In nessun caso, l’aumento stabilito nelle disposizioni precedenti può applicarsi in misura superiore alla più grave delle pene anteriormente inflitte”

Da notare è che, ex Art. 83 C.p. Zanardelli, ai fini della recidiva, non rilevano i delitti colposi, i reati militari e le Sentenze di condanna pronunciate da AA.GG. straniere

Naturalmente, la presenza, o meno di precedenti era conosciuta grazie al neo-istituito Casellario giudiziale, creato dal RD del 6 dicembre 1865, n. 2644, novellato, a sua volta, dal RD del 10 dicembre 1889, n. 6509.

Il recidivo, nel C.p. Zanardelli, inoltre, pativa le seguenti conseguenze, anche dopo la fine-pena:

  1. non poteva essere concessa al recidivo la liberazione condizionale per alcuni determinati reati
  2. al recidivo non era più applicabile l’istituto dell’ammonimento
  3. il termine per domandare la riabilitazione veniva raddoppiato
  4. il recidivo non poteva più beneficiare della riduzione della pena per particolare lievità del fatto, qualora la recidiva fosse specifica
  5. il recidivo per furto o truffa non poteva più eventualmente godere del beneficio della libertà provvisoria
  6. ex Art. 13 del Regolamento generale delle carceri del 1° febbraio 1891, n. 260, non era possibile sospendere al recidivo le punizioni disciplinari eventualmente inflittegli
  7. ex Art. 35 del Regolamento generale delle carceri del 1° febbraio 1891, n. 260, per la popolazione carceraria appartenente alla categoria dei recidivi, la segregazione cellulare notturna era aumentata della metà

In ogni caso, rimangono incancellabili ed attuali le umane, pietose e compassionevoli parole dei Lavori Preparatori al CP Zanardelli: “si sa che molti liberati dal carcere trovano con difficoltà un lavoro, per motivo dei loro precedenti. Essi non hanno più buona accoglienza nella società, perché, se è vero che la legge li ha condannati per un tempo determinato, l’opinione pubblica, invece, con la sua diffidenza, li condanna per sempre. E allora comprendendo che non hanno più il posto che occupavano dapprima nella società onesta, circondati dalla diffidenza e dall’antipatia comune, cadono, per fatale necessità di cose, nella vita obliqua della delinquenza e si associano con altri pervertiti, con i quali precipitano nell’infimo gradino della corruzione, facendo tacere una volta per sempre l’ultimo avanzo di senso morale loro rimasto”.

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