Le frodi comunitarie ed interessi economici della Comunità

Di Patrizia Filomena Rosa -

L’evoluzione e l’attuale conformazione della tutela penale europea degli interessi economici della Comunità”

Le frodi a danno della Comunità Europea, significativamente aggravatesi nel corso degli ultimi anni, rappresentano un cospicuo fenomeno criminale direttamente lesivo degli interessi economici e politici della Comunità, con ripercussioni pregiudizievoli sia sullo sviluppo, sia  sul funzionamento stesso della c.d. eurozona. Il presente intervento si pone lo scopo di analizzare i più recenti progetti e strumenti posti in campo per  la lotta contro tale fenomeno, c.d. della frode comunitaria, previo un veloce riepilogo dell’ evoluzione storico-giuridica confluita nella  recente affermazione, quantomeno “istituzionale,”  di una tutela penale europea,  centrata e sovra-nazionale, degli interessi economici e politici della Comunità.

  1. L’evoluzione della lotta alle frodi UE

L’affermazione di una tutela penale centrata sugli interessi economici europei ha conosciuto un’affermazione piuttosto lenta sebbene l’intervenuta unificazione economica avesse sollevato  già da tempo il problema in passato.[1]

Il ritardo deve con ogni probabilità ricondursi  all’assenza di un riconoscimento espresso  della meritevolezza e di tutela di interessi economici europei,  quali bene giuridico “proprio” ed “autonomo” rispetto ad analoghi interessi economici degli Stati Membri.

La tutela penale del patrimonio comune europeo si assestava, in buona sostanza, sulle risorse sanzionatorie presenti negli Stati membri[2], secondo un criterio di “assimilazione.” In condizioni sostanziali e procedurali, analoghe a quelle applicabili alle violazioni di diritto interno,  gli Stati Membri assumono  la “facoltà” di sanzionare, in via autonoma,  la condotta violativa del diritto comunitario[3].

In detto scenario irrompeva l’intervento della Corte di Giustizia che affermava il principio secondo cui gli interessi finanziari europei rappresentano un nuovo “bene giuridico”,  riconducibile al  “patrimonio di natura pubblica e sovra nazionale,” di cui è “istituzionalmente titolare l’Unione.[4]

Tale riconoscimento, tuttavia, non completava il percorso utile alla configurazione di un’autonoma tutela penale, poiché permaneva un “vuoto di tutela” sotto il profilo  della capacità d’imposizioni di norme vincolanti idonee ad agire direttamente sui singoli legislatori nazionali penali. Difettavano, come denunciato dalla Stessa UE[5], i mezzi cogenti utili  ad imporre l’applicazione delle tutele necessarie ai superiori interessi economici della Comunità sebbene la Corte  di giustizia si muovesse nel senso opposto rispetto all’affermazione di  una certa autonoma competenza per la materia penale in capo all’UE.[6]

Per lungo tempo, quindi, la politica criminale europea ha finito per chiudersi sul descritto scenario, conteso fra lo stimolo all’unificazione delle fonti europee in materia penale e l’opposta resistenza degli Stati, più propensi a ricorrere al metodo intergovernativo della leale cooperazione.[7]

  1. L’attuale modello penale unico Europeo della frode comunitaria.

“Un vero e proprio sub-sistema penale UE[8] in tema di frodi comunitarie ha trovato un sua individuazione dapprima mediante la corposa individuazione della fattispecie criminosa, di cui alla Convenzione PIF del 2012, e successivamente mediante la disposizione di cui all’art. 325 TFUE, “frodi UE”, che meglio analizzeremo nel prosieguo.

Quanto al concetto di frode comunitaria, individuata all’art. 1 della detta Convenzione, i due requisiti delegati ad individuare la consumazione del delitto[9] appaiono particolarmente vicini ai caratteri tipici dei reati contro il patrimonio.

Ebbene, non mancano i dissapori di chi  ritiene che tale configurazione della fattispecie, di cui al detto art. 1 Conv. PIF/2012,  non sia idonea a soddisfare un’azione repressiva rivolta alle aggressioni di interessi economici, di natura pubblica, e tipicamente  consumate nell’ambito di formali procedure amministrative. [10]

Non può, in effetti, ignorarsi l’evidente difficoltà applicativa del delitto così configurato, considerato che, nella prassi,  non sempre i requisiti astrattamente individuati risultano di immediato riscontro.  Si pensi ad esempio, alla frequente commissione del delitto ad opera di Enti e conformazioni sociali, e/o  all’innegabile  connessione con  l’azione omissiva della Pubblica Amministrazione, allo stato del tutto assente dalla previsione normativa. O, ancora, alla difficile individuazione del luogo di commissione del delitto, considerata la particolare condotta tipica della frode europea,  usualmente esplicata con l’ausilio di strumenti informatici. [11]

Tuttavia, deve darsi merito al fatto che la menzionata Convenzione rappresenta  un primo organico tentativo di individuare gli elementi a) sostanziali, b) sanzionatori[12] e c) procedurali della figura criminosa in esame; nonché di massimizzare  la connessa azione repressiva, anche mediante la previsione di nuove fattispecie criminose.  [13]

Il modello, in buona sostanza, sembra passibile di miglioramenti,  auspicabili, a parere di chi scrive, anche nel senso di una tutela “globalizzata” degli interessi economici europei, che si fondi sulla necessaria espansione della repressione penale, in relazione alle nuove modalità trans-nazionali  di commissione degli illeciti.

È di tutta evidenza, del resto, che le nuove “avanguardie” criminali impongono un’azione repressiva altrettanto evoluta  e puntuale. In particolare, nel settore della criminalità economica, la spinta ad una globalizzazione del diritto processuale e sostanziale penale, o, quantomeno, ad una sua “europeizzazione”, appare particolarmente pressante sebbene qualcosa si stia già compiendo nel merito.

  1. Le attuali basi giuridiche per una repressione centrata del fenomeno delle frodi UE, e la prospettiva avanguardista della Procura Europea.

Il riferimento è all’attualissima questione concernete il rapporto fra la competenza penale  individuata, in materia di frodi comunitarie, dall’art. 325 TFUE, ed il richiamo, di cui all’art. 86 TFUE,  della medesima fattispecie criminosa,  nell’alveo della competenza propria dell’individuando Ufficio della Procura Europea.[14]

L’interpretazione letterale delle norme descritte depone nel senso di individuare un obbligo di protezione penale incombente, in via principale, sull’Unione europea, e in via “ verticale” sugli agli Stati membri. [15]  Si tratterebbe, in altri termini, di una speciale sfera di competenza della Comunità  fondata sull’estrema necessità di tutela del patrimonio comune europeo.

In detta visione, evidentemente, la Procura Europea rappresenterebbe un ulteriore strumento di tutela nell’ambito dell’individuato ed autonomo ”microsistema penale di cui al 325 TFUE[16].

Ebbene, in via diametralmente opposta a quanto descritto, la Commissione Europea  pare orientata nel senso della menzionata “europeizzazione” della repressione e , più in generale, della tutela penale, mediante un Ufficio unico penale, accentratore delle diverse competenze applicabili anche in punto di frodi comunitarie. [17]

Il progetto[18] è quello di creare un ufficio centrale con sede in Bruxelles, indipendente sia nei confronti delle autorità nazionali, sia nei confronti delle istituzioni UE, e composto dal procuratore europeo e da un certo numero consistente di procuratori “delegati” dal livello nazionale, individuati all’interno della magistratura requirente statale.

L’effetto, in buona sostanza, consisterebbe nella definitiva affermazione di una competenza penale centrata e sovra-statale.

Nel merito, non mancano forti perplessità sia in punto della difficile sintesi tra le diverse realtà penali, esistenti negli ordinamenti statali,[19] sia in punto di effettività della proposta,  considerato che, allo stato,  il progetto appare  destinato a trovare un’applicazione prevalentemente progettuale.

  1. d) Gli strumenti repressivi della lotta alle frodi Eu, ed il ruolo propulsore svolto dall’Italia nell’azione di tutela centrata degli interessi economici della Comunità Europea.

Quanto all’azione repressiva posta a combattere il fenomeno della frode finanziaria europea, può dirsi che essa  passa per un organismo europeo, a scala centrale, c.d. OLAF (Ufficio Lotta Anti frode),  investito  di un reale ruolo propulsivo a livello investigativo, e, per i  Singoli Stati Membri da autonomi organi destinati all’attività di informazione, di controllo e di repressione del fenomeno criminale.

La lotta, in altri termini, si articola su due piani, l’uno di coordinamento attribuito  all’organo centrale Europeo, e  l’altro periferico/ attuativo demandato all’autogestione del Singoli Stati Membri.

In Italia,  l’organo preposto è il c.d. COLAF (Comitato per la lotta contro le frodi nei confronti dell’Unione Europea), che opera presso il dipartimento delle Politiche Europee, unitamente ad un  reparto speciale della Guardia di Finanza c.d. “Nucleo della Guardia di Finanza per la repressione delle frodi nei confronti dell’UE”.

Ebbene, appare degno di nota rilevare che la condotta italiana in termini di repressione delle frodi comunitarie  rappresenta, per ammissione della stessa Comunità[20],“un significativo contributo nel settore della lotte antifrode risultando ( l’Italia) fra gli Stati  che perseguono con maggior vigore ed efficacia, i fenomeni illeciti avverso il patrimonio comune europeo.” [21]

L’elogio si riferisce, evidentemente, alle numerose iniziative repressive poste in essere, a livello nazionale, nel corso degli ultimi anni, mediante puntuali misure di tipo “normative” “organizzative” ed “operative”.

Quanto ai provvedimenti normativi, pare sufficiente evidenziare che in Italia sussiste,  da  molto prima della stessa Unione, un’autonoma fattispecie  di reato, quale l’ “indebita percezione di contribuzioni, finanziamenti, mutui e/o altre erogazioni,”di cui all’art. 640 bis c.p., ex legge n. 55/1990, magistralmente affinata dall’attività ermeneutica della giurisprudenza[22], o il fatto che il legislatore italiano ha assegnato, in via anticipata, a tutti gli altri stati Membri,  alla Guardia di Finanza, la funzione di Organo di polizia comunitaria, con l’estensione dei relativi poteri investigativi tributari, anche al delicato settore delle frodi UE. O ancora, si pensi  alla recentissima istituzione del  Database Nazionale Anti-frode,[23] meritevole di aver innovato la trasmissione dei dati all’Ufficio Centrale Europeo, introducendo la  comunicazione della notizia di reato di frode, sin dalla fase preliminare delle indagini, in totale controtendenza all’abituale  comunicazione posta in essere dagli altri Stati  solo all’ esito  dell’attività accertativa espletata.

Del resto, i notevoli sforzi posti in campo dallo Stato italiano hanno mostrato un’efficacia dissuasiva immediata, ampliamente evidenziata dalla recente vittoria ottenuta in termini di decremento del fenomeno fraudolento a livello Italiano, contro il tendenziale incremento dei casi di frode e di irregolarità nell’erogazione dei Fondi, registrato nella restante parte del Territorio Europeo . [24]

La valutazione complessiva del quadro Europeo, in altri termini,  consente di considerare  l’Italia “leader europeo nell’azione di contrasto”[25] all’analizzato fenomeno criminale delle frodi c.d. comunitarie, il cui assetto  normativo, organizzativo ed operativo pare  destinato ad essere esportato negli Stati Membri dell‘Unione.

[1] Nel merito, Franco Bricola, nel 1968 rilevava il “vuoto di tutela” di cui soffrivano gli interessi della Comunità europea, non solo per fattori giuridici, ma anche per “preminenti fattori politici.” F. BRICOLA, Alcune osservazioni in materia di tutela penale degli interessi delle Comunità europee (1968), ora in Scritti di diritto penale, Vol. II, Tomo 1, Milano 1997, p. 2357 s.

[2] Nel merito, Corte di del 21 settembre 1989 (caso del c.d. mais greco), mediante la quale la Corte, sul presupposto che “analoghe offese al patrimonio delle pubbliche amministrazioni nazionali trovano da sempre una rigorosa ed efficace repressione penale, in conformità ad una tradizione giuridica secolare, che accomuna gli Stati membri”  configurava una possibilità  di repressione nazionale dei medimi interessi già tutelati a livello comunitario, in presenza di una compatibilità delle fattispecie.

[3]  c.d.  principio di “leale cooperazione” Pur sottolineando la legittimità delle singole disposizioni nazionali di natura penale introdotte a tutela delle sovvenzioni e finanze europee, la giurisprudenza comunitaria le considerava espressione di una mera “facoltà”, non di un “obbligo” degli Stati membri: cfr.ad es. Corte di Giustizia delle Comunità europee, sentenza 2 febbraio 1976, causa C 50/76, ed al riguardo criticamente G. GRASSO, Comunità europee, p. 172.

10 La distinzione

[4] Corte di Giustizia delle Comunità europee, sentenza 21 settembre 1989, causa C 68/88, edita fra l’altro in Cass. pen. 1992, m. 904, p. 1654 s., con nota di L. SALAZAR, Diritto penale e diritto comunitario: la strana coppia.

[5] Atto Comunitario COM, del 2011, n. 293

[6]In due sentenze, giudicando non di un diritto penale da “armonizzare” a livello europeo, ma direttamente del potere di “crearlo” da parte delle istituzioni europee, la Corte di Giustizia ha riconosciuto alla Comunità una competenza penale, desunta “implicitamente” dall’”indispensabilità” della tutela penale di un siffatto “bene primario” per la Comunità per assicurare “piena efficacia” al diritto europeo. Corte Giustizia Comunità Europea, 13 settembre 2005, C-176/03, Commissione v. Consiglio, in Raccolta, p. 7879 s. Corte Giustizia Comunità Europea, 23 ottobre 2007, C-440/05, Commissione v. Consiglio, in Raccolta, p. 9097 s.

[7] L. Piciotti, Le basi giuridiche per l’introduzione di norme penali comuni relative ai reati oggetto della competenza della procura europea, Testo dell’intervento svolto al convegno internazionale di studi Le sfide dell’attuazione di una Procura europea: definizione di regole comuni e loro impatto sugli ordinamenti interni svoltosi presso l’Università di Catania il 20 giugno 2013, p. 5 ss.

[8] V. Comi, Interessi finanziari UE, procura europea, difesa: nessun passo indietro sul piano delle garanzie, Archivio penale, 2013 n. 2, p. 6 e ss.

[9] Il riferimento è all’ indebito danno ed all’intenzionalità della condotta.

[10] Il riferimento è espressamente alla concezione di frode comunitaria di cui all’art. 1 della Conv. PIF. Nel merito: “requisiti selettivi forti per la rilevanza penale dei fatti da punire, più consoni ad un delitto contro il patrimonio privato, come è la truffa comune che si realizza mediante “inganno” del soggetto passivo, piuttosto che ad aggressioni ad interessi di natura pubblica, di grande rilevanza non soltanto economica, realizzate nell’ambito di formali procedure amministrative, escludenti normalmente il diretto rapporto fra l’autore – normalmente costituito da un’impresa, spesso in forma societaria – ed una singola persona fisica, che abbia esclusivo potere decisionale o “destinataria” immediata dei mezzi simulatori, che dovrebbero incidere sulla sua concreta rappresentazione psichica”. L. Piciotti, L’attuazione, cit. 67

[11] Sul difficile adeguamento dei principi della giurisprudenza nazionale in materia di frodi informatiche, L. Piciotti, Le basi giuridiche per l’introduzione di norme penali comuni relative ai reati oggetto della competenza della procura europea,p. 11.

[12] La fissazione di un unico limite edittale minimo di pena detentiva valido per tutti i diversi reati da incriminare, appare dichiaratamente funzionale all’esigenza processuale di garantire operatività agli strumenti di cooperazione giudiziaria, quali il mandato d’arresto europeo e gli altri provvedimenti suscettibili d’esecuzione diretta in forza del principio del mutuo riconoscimento, di per sé però estraneo alla prospettiva d’unificazione dell’intervento penale europeo.

[13] Si tratta dei reati requisiti selettivi forti per la rilevanza penale dei fatti da punire, più consoni ad un delitto contro il patrimonio privato, come è la truffa comune che si realizza mediante “inganno” del soggetto passivo, piuttosto che ad aggressioni ad interessi di natura pubblica, di grande rilevanza non soltanto economica, realizzate nell’ambito di formali procedure amministrative, escludenti normalmente il diretto rapporto fra l’autore – normalmente costituito da un’impresa, spesso in forma societaria – ed una singola persona fisica, che abbia esclusivo potere decisionale o “destinataria” immediata dei mezzi simulatori, che dovrebbero incidere sulla sua concreta rappresentazione psichica29. di “comunicazione od omissione di comunicazione di informazioni rilevanti” per la decisione di procedure di aggiudicazione di appalti o la concessione di sovvenzioni, che già non configurino una frode (cfr. art. 4, comma 1 direttiva PIF del 2012), nonché di “ritenzione illecita” di fondi o beni pubblici, che abbraccia anche la “distrazione” a scopi diversi da quelli previsti (art. 4, comma 4, direttiva PIF del 2012), accostabile, nel linguaggio tecnico italiano , all’appropriazione indebita o, meglio, al peculato.

[14] Art. 325 TFUE, capo 6 – “lotta contro la frode” –titolo II- , disposizioni finanziarie,  parte sesta –istituzioni europee. Art. 86,  capo 4 materia penale – Titolo V  “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”- parte seconda parte “politiche ed azioni interne.

[15] Art. 325 TFUE (“combattono la frode e le altre attività illegali”; “adottano… le stesse misure”; “coordinano l’azione… cooperano… “; “adottano le misure necessarie…”; “La Commissione presenta….”).

[16] L. Piciotti, cit.

[17] Il riferimento è al Regolamento EPPO 2013. Per un approfondimento L. Piciotti, cit.

[18] Per un approfondimento del progetto Europeo:  V. Comi Interessi finanziari UE, procura europea, difesa:

nessun passo indietro sul piano delle garanzie, Testo della Relazione illustrata alla Conferenza internazionale svolta a Roma il 14 giugno 2013 dal titolo “La protezione dei diritti fondamentali e procedurali dalle esperienze investigative dell’OLAF all’istituzione del procuratore europeo”, organizzata dalla FONDAZIONE LELIO E LISLI BASSO ISSOCO con il contributo di OLAF-ERCULES II., p. 7 e ss.

[19] Il Consiglio degli Ordini Forensi europei, in un articolato documento del 7 febbraio 2013, ha espresso notevoli perplessità e dubbi sulla opportunità di modificare l’attuale sistema di lotta alle frodi comunitarie esistente, ritenendo preferibile un rafforzamento delle competenze investigative di OLAF. Consiglio degli Ordini Forensi europei (CCBE), Commenti in ordine alla costituzione di un ufficio del Procuratore europeo, in www.ccbe.eu.

[20] Cfr. Relazione annuale Colaf  2014.

[21] Invero, l’efficace standard di tutela approntato dall’Italia ha ottenuto numerosi riconoscimenti anche sul fronte dell’analisi di rischio per le frodi, il già Commissario alle Politiche Regionali, Danuta Hubner, ha elogiato l’Italia perché è l’unico Paese ad avere un proprio programma di controllo contro l’uso dei fondi da parte del crimine”.

[22] In effetti, la giurisprudenza di legittimità nazionale,  individua  due elementi: a) l’ induzione in errore; e b) l’ esatta definizione di contributo, quale “apporto per il raggiungimento di una finalità pubblicamente rilevante.( Utili, peraltro, a distinguere la fattispecie  da figure delittuose attigue ed ampiamente operanti nella prassi penale (si pensi all’art. 316 ter c.p.) Nel merito fra le atre Cass. Pen. 22-03-2002, Cass. Pen. 10-10-2003), muovendosi , per entrambe le realtà analizzate, su un piano “causale”, assestandosi sull’idoneità della condotta del reo a produrre l’effetto di indurre in errore il soggetto passivo pubblico.  (Cass SS.UU. n. 7537/2011).

[23] Il riferimento è al progetto del programma “Hercules II Antifraud Training, 2013” volto all’introduzione di un sistema informatico per prevenire le frodi a danno degli interessi economici della Comunità, con la collaborazione del personale delle forze di polizia e delle autorità nazionali e regionali

[24] La citata relazione Colaf 2014, registra un incremento di circa il 55% dei fondi indebitamente erogati, per un totale di ca. 3.158 milioni di Euro nel 2014, a fronte dei 2.052 milioni del 2013 nell’ambito del territorio Europeo. In controtendenza, nel nostro Paese, nella medesima annualità, si è registrato un decremento del 13% dei casi di irregolarità e frode, per un totale di ca. 98 milioni nel 2014, a fronte dei 113 milioni del precedente 2013.

[25] così definita dal Il Direttore Generale dell’Olaf , ne ha  pubblicamente elogiato i meriti.

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