L’art 4 bis. Ord. Pen. visto dalla prima linea
Introduzione
Pochi mesi fa durante la stesura della tesi di laurea, mi sono occupato, tra l’altro, di ergastolo ostativo. Non potevo non rilevare come la dottrina e la giurisprudenza fossero concordi nel denunciare il “pasticciaccio” che negli anni aveva avuto ad oggetto uno strumento così efficace, nato con scopi precisi e netti; la cui forza e rigidità era giustificata in un’ottica di guerra combattuta in armi tra Stato e organizzazioni criminali, che facevano sempre più la bocca al gusto dell’eversione dell’ordine democratico[1]. Purtroppo, complice un malvezzo tipico del nostro Legislatore, che sembra incapace di provvedimenti organici e ragionati fuori dalla contemporaneità e contingenza di fatti che colpiscono la pancia dell’opinione pubblica, tale trattamento è stato esteso a numerose altre fattispecie che vengono accomunate, forse, soltanto dallo sdegno – tanto repentino quanto passeggero – che, in determinati momenti storici, accadimenti odiosi provocavano nella già chiamata in causa opinione pubblica[2]. Esiste, quindi, un problema di ridefinizione dei confini dell’istituto, da tempo denunciato dalla dottrina, al quale si è aggiunta la censura che ne viene fatta dalla Corte Costituzionale anche su impulso di istanze sovranazionali, mi riferisco alla celeberrima pronuncia CEDU nel procedimento “Viola c. Italia”. Il recente intervento del Governo con il DL 162/22 ha smorzato l’allarme, evitando che la disciplina perdesse del giusto rigore, lasciando però inalterato il “pasticciaccio” dello stratificarsi di materie le più eterogenee a cui l’istituto si applica. La legge di conversione, attualmente in discussione, ben lungi dal risolvere il groviglio, ha però curiosamente espunto dalla disciplina i reati contro la P.A., lasciando terreno fertile a chi volesse – magari anche a buon diritto – denunciare l’atteggiamento ammiccante ai tristemente noti “white collars crime”.
Osservato dalla prima linea, quella degli ufficiali di P.G. chiamati a mettere la faccia di fronte alle vittime in nome dello Stato, lo spettacolo è tutt’altro che rassicurante. Ma andiamo con ordine.
La disciplina originaria
Le previsioni dell’art. 4 bis. Della L. 354/75 escludono l’applicabilità ai soggetti destinatari della norma dei benefici penitenziari che permettono di inquadrare la disciplina dell’ergastolo in una lettura costituzionalmente orientata al recupero del condannato[3]. La normativa è nata negli anni ’90, con la L. 203/91, come risposta dell’ordinamento ai primi delitti eccellenti di mafia, subito inasprita, assieme ad altri istituti quali il 41 bis, dal D.L. 306/92, assunto all’esito della strage di Capaci e convertito in L. 356/92 solo dopo la strage di Via d’Amelio[4]. Nella sua versione originale, epurata dai rimaneggiamenti successivi, la norma prevedeva due distinte categorie di condannati in base al legame che i loro reati avessero con la criminalità organizzata o eversiva. Per un primo gruppo di responsabili, quelli i cui reati erano diretta propalazione della loro appartenenza alla compagine criminale, l’accesso ai benefici penitenziari era subordinato all’acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata od eversiva. Per il secondo gruppo di condannati, resesi responsabili di reati diversi che potevano esser in potenza riconducibili ad un alveo di criminalità organizzata, si richiedeva, invece, l’insussistenza di elementi tali da far ritenere attuali detti collegamenti. In aggiunta a tali requisiti, onde accedere ai benefici, i condannati dovevano aver espiato un periodo di pena maggiore rispetto agli ergastolani comuni, a meno che non avessero dimostrato il loro ravvedimento con un percorso di collaborazione ex art 58 ter L 354/75[5]. L’attacco allo Stato democratico del 1992 comportò la reazione delle Istituzioni che inasprirono la disciplina in argomento, con finalità di prevenzione generale e tutela della sicurezza collettiva, subordinando qualsiasi attività premiale o alternativa alla detenzione all’unico requisito della collaborazione con la giustizia. Si trattava di una presunzione assoluta che presupponeva, in una logica di massima precauzione, che vi fosse la prova della rescissione del legame con la consorteria criminale di appartenenza. Grazie all’azione della Corte Costituzionale, intervenuta in materia con le Sentenze nr. 68/95, nr. 357/94 e nr. 306/93, il Legislatore smussò la disciplina, prevedendo al co 1 bis la possibilità d’accesso ai benefici anche nei casi in cui un’utile collaborazione con la Giustizia fosse ineseguibile, impossibile oppure oggettivamente irrilevante, sempre restando inalterata la necessità di acquisire elementi idonei ad escludere l’attualità dei collegamenti con il sodalizio d’appartenenza[6].
Tale disciplina, però, negli ultimi anni non gode più del consenso del Giudice delle leggi che, comunque, come abbiamo visto, non le era mancato.
La riflessione costituzionalmente orientata, fino all’ord. 97/2021 della Corte Costituzionale
Con la Sentenza nr. 306 del 1993, ribadendo un orientamento consolidato[7], la Corte Costituzionale aveva ritenuto la disciplina aderente al dettato costituzionale in quanto rispondente a necessità general preventive di tutela dei consociati, funzione della penalità di pari dignità rispetto alle altre che comunemente le si riconoscono in un contesto polifunzionale della pena, contesto in cui non è possibile stabilire aprioristicamente una gerarchia. La Repubblica era in «guerra» con una “criminalità organizzata aggressiva e diffusa” e questo bastava ad assumere misure spiccatamente general preventive, mirate ad incentivare la defezione dall’altro campo e ad eleggere tale defezione come unico elemento certo di ravvedimento e dissociazione dalla consorteria criminale. Le perplessità, che pur la Corte esplicitava, circa tali automatismi e circa la tipizzazione normativa di alcuni “autori” di reato per i quali la rieducazione non sarebbe possibile o potrebbe non essere perseguita, dovevano cedere il campo. Analoghe posizioni venivano mantenute con la sentenza nr. 273 del 2001[8] e nr. 135 del 2003[9] con una scelta chiara e decisa circa l’utilità della norma e della sua compatibilità con l’impianto costituzionale[10]. L’orientamento, però, complice il passare del tempo e lo scemare dell’odore del sangue e dell’esplosivo, cambiava già dal 2018 con la sentenza nr. 149[11], in cui pur riconoscendo la ratio di forte messaggio general preventivo della norma, la Corte la censurava in quanto non poteva operare in “chiave distonica” con l’imperativo costituzionale della funzione rieducativa della pena. Ma la posizione più forte arrivava con la celeberrima sentenza nr. 253 del 2019[12], in cui, a seguito della pronuncia del 13.6.2019 della Corte EDU contraria all’Italia nel procedimento “Viola c. Italia”[13], la Consulta si esprimeva in maniera sostanzialmente difforme rispetto all’orientamento tenuto nel precedente quarto di secolo. La Corte, infatti, dichiarava costituzionalmente illegittimo l’art. 4 bis co 1 della L. 354/75 nella parte in cui non permetteva la concessione di premialità sul trattamento detentivo a tutti quei soggetti che, semplicemente, non intendevano prestare la collaborazione di cui all’art. 58 ter della medesima legge[14]. La presunzione di non rescissione del vincolo associativo in capo a quanti non partecipavano ai percorsi di collaborazione con la Giustizia, a seguito di tale pronuncia, passava da assoluta a relativa, permettendo l’acquisizione di allegazioni contrarie che il Giudice doveva valutare, ancorché in maniera particolarmente rigorosa, attesa la gravità dei fatti e la spiccata pericolosità dei soggetti[15]. Tale rigore è, evidentemente, volto a cercare di contenere l’evidente pericolosità di tale pronuncia sull’ordine e la sicurezza pubblica, potenzialmente derivante da un intervento demolitivo tout court della norma impugnata.
Analoghe considerazioni giungevano con l’ordinanza nr. 97/2021[16] con cui la Corte Costituzionale, sollecitata dalla Corte di Cassazione con ordinanza del 3 giugno 2020, e depositata il 18 giugno 2020 (r.o. n. 100 del 2020), dovendosi esprimere ancora sulla costituzionalità degli artt. 4-bis, comma 1, e 58-ter della L 354/75 e dell’art. 2 del DL152/91, convertito, con modificazioni, nella L 209/91, nella parte in cui non permettevano all’ergastolano ex art. 4bis O.P. non collaborante l’accesso alla liberazione condizionale, sospendeva il giudizio chiedendo al Legislatore di intervenire per riformulare la materia, tenendo conto dei principi di diritto acquisiti al patrimonio nazionale, anche a seguito delle citate sentenze CEDU e della Corte Costituzionale, alla luce del fatto che “un intervento meramente “demolitorio” di questa Corte potrebbe mettere a rischio il complessivo equilibrio della disciplina in esame, e, soprattutto, le esigenze di prevenzione generale e di sicurezza collettiva che essa persegue per contrastare il pervasivo e radicato fenomeno della criminalità mafiosa”. La Corte, quindi, esplicitava il campo d’intervento del legislatore ribadendo come “Si tratta qui di tipiche scelte di politica criminale, destinate a fronteggiare la perdurante presunzione di pericolosità ma non costituzionalmente vincolate nei contenuti, e che eccedono perciò i poteri di questa Corte. Come detto, esse pertengono, nel quomodo, alla discrezionalità legislativa, e possono accompagnare l’eliminazione della collaborazione quale unico strumento per accedere alla liberazione condizionale”.
Il Governo, per parte sua, dopo un ulteriore rinvio della pronuncia della Corte Costituzionale avvenuto con ordinanza 122/2022, aderiva alle richieste e normava la disciplina attraverso il DL 162/22.
La disciplina ex DL 162/22.
La disciplina introdotta di recente con il DL 162/22 – al netto delle condivisibili censure di tecnica legislativa, verso un provvedimento che compendia norme molto diverse tra loro, dagli obblighi vaccinali ai raduni ritenuti pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica, passando al rinvio dell’entrata in vigore della c.d. “Riforma Cartabia” – è stata sufficiente alla Consulta per rimettere gli atti alla Corte di Cassazione affinché valuti, alla luce dell’intervenuta normazione, la persistenza dei presunti profili di incostituzionalità delle norme impugnate[17]. Essa, per quanto qui d’interesse, prevede:
- l’estensione del perimetro di applicazione della normativa de quo ai responsabili di delitti diversi da quelli indicati al co.1 dell’art. 4 bis Pen., ma per i quali è stato accertato esser stati commessi per eseguire od occultare uno dei reati in argomento, oppure per conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’impunità di detti reati.
- La possibilità di accedere ai benefici penitenziari da parte degli ergastolani c.d. ostativi di prima fascia non collaboranti[18], purché dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria o l’assoluta impossibilità di adempiervi e sempreché alleghino elementi specifici, diversi ed ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria ed alla partecipazione al percorso rieducativo, non consistenti nella sola dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di appartenenza, tali da escludere l’attualità dei collegamenti con il tessuto criminale di appartenenza, nonché l’insussistenza del pericolo di ripristino di tali collegamenti anche indiretti o tramite terzi. In tale contesto, deve altresì essere tenuto conto delle circostanze personali ed ambientali e delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, nonché delle iniziative dell’interessato a favore delle vittime, anche nelle forme della c.d. giustizia riparativa.
- La possibilità di accedere ai benefici penitenziari da parte degli ergastolani ostativi anche non collaboranti c.d. di seconda fascia[19] purché dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria o l’assoluta impossibilità di adempiervi e sempreché alleghino elementi specifici, diversi ed ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria ed alla partecipazione al percorso rieducativo tali da escludere l’attualità dei collegamenti con il contesto criminale in cui il reato è stato commesso. In tale contesto, deve altresì essere tenuto conto delle circostanze personali ed ambientali e delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, nonché delle iniziative dell’interessato a favore delle vittime, anche nelle forme della c.d. giustizia riparativa.
- L’obbligo in capo al Giudice chiamato ad esprimersi in materia, di chiedere il parere del PM presso il Giudice che ha emesso sentenza o, a seconda dei casi, del PM presso la Procura distrettuale o la Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo; di chiedere informazioni all’Istituto di detenzione; di disporre a carico dell’istante e del nucleo familiare e delle persone a lui collegate di indagini patrimoniali. I predetti pareri ed informazioni devono essere trasmessi al Giudice nel termine di 60 giorni, estensibile a 90 giorni e, in caso di ritardo protratto, il Giudice può decidere prescindendo dagli stessi. Nel caso dalla predetta attività informativa sussistono indizi di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica od eversiva o col contesto criminale nel quale il reato è stato commesso, ovvero il pericolo di ripristino di tali collegamenti, l’istante ha l’onere di fornire, entro un congruo termine, elementi di prova contraria.
- La necessità che per i destinatari della statuizione di cui all’art. 4 bis Pen., per accedere alla richiesta della liberazione condizionale siano trascorsi i 2/3 della condanna od almeno 30 anni in caso di ergastolo. In tal caso, l’estinzione della pena opererà passati dieci anni di libertà vigilata, ovvero il doppio del tempo previsto ex art 177 cp.
- L’esclusione ex lege dai benefici penitenziari di quei soggetti per cui è vigente l’applicazione dell’art. 41 bisP.
- La possibilità per il Giudice di imporre prescrizioni volte ad impedire il pericolo di ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica od eversiva o che impediscano ai condannati di svolgere attività o di avere rapporti personali che possono portare al compimento di altri reati o al ripristino di rapporti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva, comprensive del divieto di soggiornoin uno o più comuni o dell’obbligo di soggiorno in un comune determinato.
Il Disegno di Legge AS n. 274 si conv. del DL 162/22, la cui approvazione in entrambi i rami del Parlamento incombe al momento in cui scrivo, non ha apportato sostanziali modifiche alla disciplina per come illustrata, fatta eccezione per la curiosa eliminazione dal novero dei reati per cui è prevista l’applicazione della disciplina dei soli reati contro la P.A., inseritivi da meno di quattro anni a seguito della legge c.d. “spazza corrotti”.
Conclusioni
La disciplina in argomento va necessariamente ad incidere sulle armi a disposizione di chi questo Stato chiama a combattere la guerra mai finita, non ancora vinta – perché di questo si tratta e bisogna utilizzare i termini appropriati – che, soprattutto alla luce dei recenti risvolti giudiziari di cui alla c.d. “trattativa” Stato-Mafia, deve essere condotta in maniera franca e scevra da ogni possibile ambiguità. Il rischio di spuntare tali armi a vantaggio esclusivo del nemico è troppo alto ed ogni passo andrebbe ragionato a lungo, onde evitare di muoversi come elefanti in una cristalleria. Ed il panorama che si gode qui, dalla prima linea, non è dei più rassicuranti.
Prendo atto con freddo stupore di come parte della dottrina – ed anche della magistratura – ha accolto con enorme entusiasmo le posizioni assunte dalla Corte Costituzionale già dalla sentenza 253 del 2019, ritenendole frutto di una conquista di civiltà ed in grado di aprire nuovi e ampi spazi per quella lotta alla penalità carceraria tanto in voga nel nostro secolo[20]. Ritengo pericoloso tale atteggiamento. L’abbandono – pur motivato in termini di tutela dei diritti dell’uomo – della presunzione assoluta di cui alla precedente versione dell’art. 4 bis Ord. Pen. a vantaggio di una presunzione relativa – i cui confini sono stati ben delineati dalla Corte Costituzionale nella citata sentenza nr. 253/2019 e che il Governo ha sostanzialmente trasposto nel DL 162/22 – non deve rappresentare un’incrinatura attraverso cui si possa silenziosamente istaurare nella prassi “un automatismo pari e contrario”[21], il cui spettro sembra aleggiare insistentemente sulla questione[22].
Personalmente, avendo partecipato da umile combattente di prima linea alla lotta alle mafie, che dichiararono apertamente guerra alla Repubblica che mi onoro di difendere, sono tra quelli che guardano con spirito critico e preoccupato alle possibili evoluzioni. Se da un lato è innegabile che la disciplina originaria, nata per contrastare dei nemici[23] dell’ordinamento democratico quali le mafie od i terroristi, col passar del tempo è stata inspiegabilmente estesa ad una lunga schiera di altri reati, e ciò va corretto; dall’altro è altrettanto vero che bisogna evitare di vanificare quanto di buono la norma in parola ha prodotto negli anni[24]. In tale contesto sono, quindi, condivisibili le conclusioni che nel 2010 la Commissione mista per lo studio dei problemi della magistratura di sorveglianza[25], nata per impulso del CSM, assunse circa la necessità di epurare la disciplina dalle stratificazioni di ulteriori fattispecie criminose assoggettatele[26]. Così facendo si recupererebbe il valore cardine di difesa dei consociati dalla qualificata pericolosità sociale degli appartenenti a quelle consorterie criminali, caratterizzata dal vincolo che ne lega gli appartenenti gli uni agli altri, allo stesso modo in cui il giuramento di fedeltà coscrive i soldati al proprio Paese. In tale ottica, che è l’unica in cui si può inquadrare e comprendere appieno il fenomeno mafioso[27], appare più chiara la presunzione legale di cui all’art. 4 bis, essendo la defezione per tradimento – altra faccia della medesima medaglia su cui noi leggiamo collaborazione con la giustizia – passibile di morte nel contesto criminale d’origine e, perciò stesso, argomento principe circa la genuinità del percorso risocializzante intrapreso dal condannato.
Ora, rinunciare ad un distinguo così netto tra ergastolani “comuni” ed ergastolani “qualificati” – ripeto, in essi intendendo soltanto quelli appartenenti a categorie di massimo allarme, di cui alla formulazione primigenia della norma –, come di fatto si è fatto, rischia di essere letto come segno di debolezza dal nemico. Quella con le mafie è una guerra di posizione anche sul terreno legislativo, come l’inchiesta tristemente nota sulla c.d. “trattativa” ha documentato, al di là delle penali responsabilità individuali dei protagonisti. Mi sento di sottoscrive ogni parola di quanto sostenuto da CERASE M. nell’articolo in nota, circa l’essere “fuori dalla realtà pensare che la delinquenza mafiosa possa seguire i percorsi rieducativi di cui discorre la dottrina citata. (…) i benefici detentivi sono – agli occhi di questo genere di criminalità – solo la manifestazione del cedimento dello Stato”[28]: una vittoria in quella guerra di posizione, la conquista di un metro della terra di nessuno, in attesa della auspicata Caporetto.
Ma la sentenza 253/2019 c’è, pur se assunta con la risicata maggioranza di 8 a 7, a denotare un orientamento non definitivo e così scontato della Corte[29]. Come c’è anche l’ordinanza 27/21, in cui la Corte Costituzionale ha chiaramente indicato la via per la quale bisogna continuare il cammino. È necessario, quindi, che questa tensione forte a tutelare i diritti inviolabili dell’Uomo, anche di fronte a chi, con libere scelte di vita, aveva deciso di porsi fuori dal “diritto”, non metta a repentaglio la sicurezza di quella moltitudine di cittadini che “in diritto” è vissuta e vive, ed in nome della quale i Tribunali amministrano la Giustizia nella Repubblica[30]. È altresì necessario, ancora, che quella Giustizia che viene amministrata nei Tribunali non turbi le vittime, risvegliando le sopite Erinni, né che, al grido di un umanesimo intransigente, dimentichi la necessità che lo stigma sia evidente, soprattutto davanti a tali comportamenti devianti di estrema gravità, non abiurati nei fatti.
Il Governo, con il DL 162/22 sembrerebbe aver correttamente accolto le istanze della Corte Costituzionale, preservando la normativa da quello scadimento di rigore che avrebbe portato, nel quotidiano del foro, ad un’odiosa normalizzazione della mafia, alla sua riduzione a devianza con cui convivere[31]. Sembrerebbero essere stati accolti, in tal senso, gli spunti della Commissione d’Inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali anche straniere che, nella relazione del 20.5.2020[32], ha auspicato l’individuazione di un doppio binario tra i reati previsti all’art. 4 bis ord. Pen., in modo da prevedere per i reati di criminalità organizzata, eversiva e terroristica un procedimento particolarmente rigoroso per la concessione dei benefici da parte della Magistratura di Sorveglianza, al fine di verificare il venir meno dei legami con l’organizzazione e di scongiurare che tali legami possano essere riallacciati[33]. Particolarmente apprezzabile, in tale ottica, ritengo essere la previsione per la concessione della liberazione condizionale dell’espiazione dei 2/3 della pena o, in caso di ergastolo, di almeno 30 anni di reclusione, con l’imposizione di un periodo doppio di libertà vigilata. Il particolare disvalore sociale dei comportamenti assunti da tali soggetti, titolari di spiccata e qualificata pericolosità sociale, deve trovare espressione anche nella risposta dell’ordinamento che non può non essere maggiormente stringente rispetto agli altri devianti.
D’altro canto, in tale ottica di estrema rigidità del procedimento che, pur ammettendo la prova contraria circa l’attualità della presunta pericolosità sociale dell’ergastolano ex art. 4 bis Ord. Pen., sottopone la cognizione del giudice a paletti rigidi e ad argomentazioni logiche granitiche, rimane argomento principe dello scemare di tale pericolosità proprio quella collaborazione ex art. 58 ter Ord. Pen. che, semplificando il panorama, continua ad essere un istituto utile nella lotta e capace di quell’ “appeal” che, forse, qualcuno dava già per sepolto. Non si può nemmeno pensare per azzardo che, nel nome della Giustizia, della Clemenza e delle ragioni di recupero del reo, si chiuda quella breccia importante nel muro dell’omertà che l’art. 4 bis aveva contribuito a creare. Il sangue dei martiri urlerebbe fastidiosamente alle coscienze ingrate.
In chiusura, mi pare, però, degno di critica il fatto che la semplificazione della materia, con l’espunzione dal novero dei reati c.d. ostativi di quelli aggiunti negli anni nel già richiamato deprecabile pot-pourri, si sia limitato nel recente intervento dell’Esecutivo ai soli reati contro la P.A. Non è un bel segnale, od almeno così sgradevole sembra da chi lo osserva dalla prima linea: uno Stato che “si costerna, s’indigna, s’impegna
poi getta la spugna con gran dignità”. Ma questo è un altro argomento.
[1] Le stragi, la c.d. “trattativa”, gli attentati di Firenze e Roma. Non penso vi sia qualcuno che possa negare l’attacco allo Stato da parte delle consorterie criminali organizzate portato avanti in quegli anni.
[2] Oltre a quelli riconducibili all’associazionismo mafioso e alla criminalità organizzata, la lista menziona anche i reati di pedopornografia, prostituzione minorile, tratta di persone, riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, terrorismo, violenza sessuale di gruppo e sequestro di persona a scopo di estorsione e alcuni reati in materia di droga e traffico di migranti. Più di recente, sono state aggiunti al novero dei reati fattispecie eterogenee come lo scambio elettorale politico mafioso ed il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Circostanza questa, stigmatizzata dalla Corte Costituzionale nelle sentenze nr. 253 e 263 del 2019. . Cfr. CATANI A., Il regime giuridico dell’ergastolo ostativo alla luce del dialogo tra la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Problematiche e prospettive, in «Rivista AIC», nr. 4, 2020, pag. 429.
[3] Secondo le stime del Garante Nazionale dei detenuti, su 1800 ergastolani il 71% è rappresentato da soggetti in regime di art. 4 bis L 354/75. Segno evidente che l’ordinamento riserva tale pena e la magistratura la applica ai casi di massimo allarme sociale. Cfr. CATANI A., Il regime giuridico dell’ergastolo ostativo alla luce del dialogo tra la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Problematiche e prospettive, in «Rivista AIC», nr. 4, 2020, pag. 427.
[4] Anche se, a voler essere puntuali, possono rinvenirsi le radici dell’istituto nelle previsioni del codice Zanardelli del 1890 che all’art. 12 prevedeva per i condannati la “segregazione cellulare continua con obbligo di lavoro e del silenzio”. Cfr. MELLONE A.M. Ergastolo ostativo. Guida all’istituto, in «Altalex» del 16.4.2021, rinvenibile in: https://www.altalex.com/guide/ergastolo-ostativo#par2.
[5] Cfr. CATANI A., Il regime giuridico dell’ergastolo ostativo alla luce del dialogo tra la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Problematiche e prospettive, in «Rivista AIC», nr. 4, 2020, pag. 430.
[6] Ibidem, pagg. 431 e 432.
[7] Cfr. Sentenze della Corte Costituzionale n. 161 del 1997, n. 274 del 1983 e n. 264 del 1974.
[8] Sentenza nr. 273 del 5.7.2001, pubblicata in Gazzetta Ufficiale nr. 29 del 25.7.2001. Rinvenibile sul sito www.cortecostituzionale.it
[9] Sentenza nr. 135 del 9.4.2003, pubblicata in Gazzetta Ufficiale nr. 17 del 30.4.2003. Rinvenibile sul sito www.cortecostituzionale.it
[10] Cfr. CATANI A., Il regime giuridico dell’ergastolo ostativo alla luce del dialogo tra la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Problematiche e prospettive, in «Rivista AIC», nr. 4, 2020, pagg. 434 e 435.
[11] Sentenza nr. 149 del 21.6.2018, pubblicata in Gazzetta Ufficiale nr. 29 del 18.7.2018. Rinvenibile sul sito www.cortecostituzionale.it
[12] Sentenza nr. 253 del 23.10.2019, pubblicata in Gazzetta Ufficiale nr. 50 del 11.12.2019. Rinvenibile sul sito www.cortecostituzionale.it
[13] In questa sede, pur non potendo approfondire come meriterebbe la questione, appare utile ricordare al lettore come VIOLA Marcello, capo ‘ndrangheta dell’omonima famiglia insistente sulla piana di Gioia Tauro (RC), sconta quattro ergastoli per vari reati connessi con la promozione e gestione della sua famiglia di ‘ndrangheta, tra cui figura l’efferato omicidio per decapitazione di GRIMALDI Giuseppe, capo di una famiglia a lui contrapposta nella faida di Taurianova (RC) degli anni ’90 tra i Iatrinoli ed i Radicena, testa che fu utilizzata per un tiro a segno nella piazza cittadina in quello che la stampa definì “venerdì nero” di Taurianova, nell’ambito del tentativo di sterminare la famiglia Grimaldi. I giudici di Strasburgo hanno ritenuto l’Italia responsabile di trattamenti inumani e degradanti nei confronti di Viola M. in quanto l’applicazione dell’art. 4 bis Ord. Pen., per come è attualmente strutturato, comporterebbe una presunzione assoluta di pericolosità in capo a chi non aderisce al percorso di cui all’art. 58 ter Ord. Pen., “privandolo di ogni prospettiva realistica di liberazione”. Per un approfondimento cfr. CATANI A., Il regime giuridico dell’ergastolo ostativo alla luce del dialogo tra la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Problematiche e prospettive, in «Rivista AIC», nr. 4, 2020, pagg. 437-442.
[14] Come diffusamente argomentato dall’autore, le ordinanze di remissione che giungevano alla Corte erano due: la nr. 59/19 della Corte di Cassazione e la nr. 135/19 del Tribunale di Sorveglianza di Perugia, entrambe afferenti alla legittimità costituzionale dell’art. 4 bis Ord. Pen. in rapporto agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui negava per presunzione di legge la possibilità di fruire di permessi premio in capo ai soggetti ristretti in quel regime. La Corte affermava che non è la presunzione in sé ad essere illegittima, quanto il fatto che non si accetti la prova contraria. In punto di diritto, sostiene la Corte, tale presunzione comporta un trattamento peggiorativo dei condannati, rispetto agli altri ergastolani; l’impossibilità di valutare lo stato del percorso rieducativo che, per ciò solo, si presume non intrapreso, senza alcun vaglio delle ragioni. La valutazione che, quindi, deve essere compiuta su tali fatti, però, precisa la Corte, deve essere particolarmente rigorosa, trovandosi di fronte ad un vincolo molto forte con la compagine criminale, di cui non può ritenersi avvenuto l’abbandono definitivo se non di fronte ad elementi congrui e specifici, non risolvibili nella partecipazione al percorso riabilitativo o nella buona condotta inframuraria. Cfr. CATANI A., Il regime giuridico dell’ergastolo ostativo alla luce del dialogo tra la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Problematiche e prospettive, in «Rivista AIC», nr. 4, 2020, pagg. 442-446.
[15] La Corte specificava, quanto alle modalità per permettere tali valutazioni da parte del Tribunale di sorveglianza, come il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica debba relazionare dettagliatamente circa l’attualità della pericolosità, analoghe valutazioni competono all’Autorità Penitenziaria, mentre il condannato che chiede il beneficio deve “fornire specifica allegazione” che dimostri la rottura dei legami con la consorteria criminale di provenienza e l’insussistenza del pericolo che tali legami vengano ripristinati una volta in libertà. La posizione della Corte era già maturata nella riflessione dottrinaria, cfr. PALAZZO F., “Presente, futuro e futuribile della pena carceraria”, in PALIERO C., VIGANO’ F., BASILE F., e GATTA G.L. a cura di «La pena, ancora: fra attualità e tradizione. Studi in onore di Emilio Dolcini», Varese, Giuffrè, 2018, pag. 536.
[16] Ordinanza nr. 97 del 15.4.2021, pubblicata in Gazzetta Ufficiale nr. 19 del 12.5.2021. Rinvenibile sul sito www.cortecostituzionale.it
[17] In attesa della pubblicazione delle motivazioni della decisione, cfr. comunicato stampa dell’8.11.2022 della Corte Costituzionale, rinvenibile in: https://www.cortecostituzionale.it/documenti/ comunicatistampa/CC_CS_20221108182221.pdf
[18] detenuti e internati per delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, per i delitti di cui agli articoli 416-bis e 416-ter del codice penale, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, per i delitti di cui all’articolo 12, commi 1 e 3, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e per i delitti di cui all’articolo 291-quater del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, e all’articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309.
[19] Detenuti od internati per i delitti di cui agli articoli 314, primo comma, 317, 318, 319, 319-bis, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 600, 600-bis primo comma, 600-ter, primo e secondo comma, 601, 602, 609-octies e 630 del codice penale.
[20] A riguardo, per la dottrina, la copiosa produzione citata da CATANI A. e PUGIOTTO A. nei due articoli citati è esemplare ed a quella rimando. Per quanto riguarda la posizione conforme di magistrati, segnalo – per notorietà mediatica dell’autore – l’articolo di WOODCOCK H.J., “Qualche considerazione sulla recente pronuncia della Corte costituzionale in materia di ergastolo ostativo”, 26.5.2021, pubblicato da www.questionegiustizia.it e per importanza del ruolo rivestito, SANTALUCIA G. presidente della ANM, Ergastolo ostativo. Santalucia: onere prova non spetta al detenuto, 30.9.2021, pubblicato da Il riformista. Entrambi i contributi giornalistici affrontano il problema a seguito dell’ordinanza nr. 97/2021 della Corte Costituzionale.
[21] Cfr. PUGIOTTO A., La sentenza nr. 253/2019 della Corte Costituzionale: una breccia nel muro dell’ostatività penitenziaria, in «Forum di Quaderni Costituzionali – Rassegna», 1, 2020, pag.171.
[22] Cfr. PUGIOTTO A., La sentenza nr. 253/2019 della Corte Costituzionale: una breccia nel muro dell’ostatività penitenziaria, in «Forum di Quaderni Costituzionali – Rassegna», 1, 2020, pag. 174. L’Autore nota, con una non condivisibile soddisfazione, come la sentenza in parola sarà capofila di analoghe pronunce rivolte al «recupero del reo alla vita sociale» secondo “il fine della pena che esige la fine della pena”, con l’ammissione a tutte le restanti forme di premialità, ivi compresa la liberazione condizionale.
[23] Ove il termine “nemico” andrebbe inteso prendendo quanto c’è di buono dalle posizioni assunte in tal senso dal prof. Jakobs G. ne JAKOBS G., La pena statale. Significato e finalità, traduzione ad opera di VALITUTTI D., Nola (NA), Editoriale Scientifica, 2019.
[24] È innegabile, infatti, come lo strumento della collaborazione sia fondamentale per disarticolare le compagini criminali di cui si occupa la norma, almeno nella sua accezione primordiale, epurata dai già indicati reati aggiunti. Cfr. a riguardo, MASCALI A., “Le ultime parole di Falcone e Borsellino”, Chiarelettere, Milano, 2012, pag. 64, ove l’Autrice ripropone un contributo di FALCONE G. dal titolo “Valutazioni probatorie relative al pentitismo”, pronunciato innanzi alla ANM nel convegno nazionale del 21-23/3/1986: « La comparsa del così detto pentitismo sulla scena della criminalità organizzata – qualunque sia il giudizio che si voglia esprimere a riguardo – ha segnato indubbiamente una svolta nelle indagini giudiziarie, laddove ha consentito una “lettura dall’interno” della struttura e delle dinamiche delle organizzazioni in questione e, per conseguenza, un affinamento degli strumenti e dei metodi repressivi. Questo fenomeno, sicuramente nuovo, per le sue dimensioni, nella storia della criminalità in Italia, ha aperto una breccia importante nel muro dell’omertà, finora ritenuto impenetrabile, e ha provocato seri contraccolpi all’interno delle strutture criminali, facendone vacillare la carica intimidatrice e incrinando antichi assetti di potere».
[25] Presieduta dal Prof. Giostra G., cfr. CATANI A., Il regime giuridico dell’ergastolo ostativo alla luce del dialogo tra la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Problematiche e prospettive, in «Rivista AIC», nr. 4, 2020, pag.447. L’Autore ha analizzato compiutamente i contenuti dei documenti prodotti dalla Commissione. Nel presente lavoro mi sono limitato a quanto da questi riferito, senza acquisire la fonte citata.
[26] Definita in maniera puntuale ed efficace “Frastagliata e fantasiosa black list” in PUGIOTTO A., La sentenza nr. 253/2019 della Corte Costituzionale: una breccia nel muro dell’ostatività penitenziaria, in «Forum di Quaderni Costituzionali – Rassegna», 1, 2020, pag. 162.
[27] Nel cui ambito, un boss libero ed in casa sua è già di per sé espressione di comando ed effettività del potere sul territorio. Senza bisogno di ulteriori manifestazioni, con la sola presenza regge il clan e rinvigorisce l’intera compagine criminale e l’assoggettamento che essa riesce ad incutere in determinati ambienti nel proprio habitat, ove valgono regole non scritte proprie e diverse da quelle statali.
[28] CERASE M., La Corte costituzionale sui reati ostativi: una sentenza, molte perplessità, in «Forum di Quaderni Costituzionali – Rassegna», 1, 2020, pag. 183.
[29] Cfr. CERASE M., La Corte costituzionale sui reati ostativi: una sentenza, molte perplessità, in «Forum di Quaderni Costituzionali – Rassegna», 1, 2020, pag. 176. Anche CATANI A., Il regime giuridico dell’ergastolo ostativo alla luce del dialogo tra la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Problematiche e prospettive, in «Rivista AIC», nr. 4, 2020, pag.452 ipotizza che tale posizione della Corte costituzionale possa non essere definitiva o possa essere animata da “spirito di leale collaborazione” verso il potere Legislativo, chiamato ad affrontare problematiche nevralgiche per la Repubblica.
[30] Verrebbe da dire, rubando le parole al Capo dello Stato dal suo discorso alla nazione per la fine del 2022, che la Repubblica è di chi la incarna e non di chi la combatte.
[31] Cfr. CERASE M., La Corte costituzionale sui reati ostativi: una sentenza, molte perplessità, in «Forum di Quaderni Costituzionali – Rassegna», 1, 2020, pag.186. Cfr. ancora sul tema CATANI A., Il regime giuridico dell’ergastolo ostativo alla luce del dialogo tra la Corte Costituzionale e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Problematiche e prospettive, in «Rivista AIC», nr. 4, 2020, pag.453, ove l’Autore ripropone la dichiarazione di un boss al 41 bis, TUTINO Vittorio, che si permetteva di commentare come “non sono più i tempi che berta filava”, alludendo al fatto che la mafia stesse oramai passando sottotraccia, grazie ad una nuova strategia di distensione, riproposte nell’articolo di ABBATE L. “I boss al 41 bis vanno a casa: così tradiamo la memoria di Falcone”, pubblicato su www.repubblica.it.
[32] Doc. XXIII, nr, 3, rinvenibile tra gli atti della legislatura in www.documenti.camera.it
[33] PALAZZO F., già nel 2018, auspicava la conversione della presunzione assoluta in relativa, con l’attribuzione al Giudice del compito di verificare in concreto se la mancata collaborazione sia realmente espressione di persistente pericolosità sociale. Cfr. PALAZZO F. Presente, futuro e futuribile della pena carceraria, in PALIERO C., VIGANO’ F., BASILE F., e GATTA G.L. a cura di, La pena, ancora: fra attualità e tradizione. Studi in onore di Emilio Dolcini, Varese, Giuffrè, 2018, pag. 536.
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