La Corte di Strasburgo condanna l’Italia per il caso Amanda Knox, ma le prove sono insufficienti
Con la decisione del 24/01/2019 in riferimento alla Application n° 76577/13 (case Knox v. Italy) la CEDU si è pronunciata sulle richieste avanzate da Amanda Knox relativamente al processo svoltosi a seguito dell’omicidio di Meredith Kercher.
Volendo ripercorre l’iter processuale della vicenda ricordiamo che in primo grado, nel 2009, Amanda Knox e Raffaele Sollecito furono condannati dalla Corte d’Assise di Perugia per l’omicidio dell’inglese Meredith Kercher, in seguito assolti e rimessi in libertà dalla Corte d’Assise d’Appello nel 2011 per non aver commesso il fatto. Nel 2013 la Cassazione annullò la sentenza d’Appello e dispose un nuovo processo.
Nell’appello-bis Knox e Sollecito furono nuovamente condannati. Il 27 marzo 2015 il nuovo colpo di scena, l’assoluzione in Cassazione di entrambi gli imputati, questa volta definitiva. In particolare nei confronti di Amanda Knox fu comminata la pena della reclusione di tre anni contestando il reato di calunnia per aver accusato Patrick Lumumba dell’omicidio della coinquilina, ma risultato successivamente estraneo ai fatti.
Da ultimo, Amanda Knox agì, poi, per veder riconosciuto il suo diritto di difesa che riteneva essere stato violato durante l’interrogatorio del 06/11/2017. La CEDU ha, dunque, condannato l’Italia a risarcire la somma di 10.400,00 euro ad Amanda Knox per danni morali subiti ed 8000,00 euro per spese legali sostenute. Secondo i Giudici di Strasburgo ad Amanda Knox “non è stato concesso il beneficio di un’indagine in grado di far luce sui fatti e le possibili responsabilità da parte della Giustizia Italiana”; diritto, secondo la Corte di Strasburgo, violato in quanto l’interprete assegnato non ha ben interpretato in modo corretto le parole della studentessa americana.
Alla giustizia italiana è contestata la mancata valutazione della condotta dell’interprete, che «si concepiva come una mediatrice e aveva adottato un atteggiamento materno nei confronti della Knox», priva di una sufficiente padronanza dell’italiano, «mentre stava formulando la sua dichiarazione». Per la Cedu, le nostre Autorità avrebbero dovuto accertare preventivamente che l’attività svolta dall’interprete fosse idonea a garantire al meglio i diritti di Amanda Knox ed il rispetto della Convenzione dei Diritti dell’Uomo. Pertanto, secondo la Corte, quell’iniziale mancanza aveva avuto «ripercussioni» su altri diritti e aveva «compromesso la correttezza della procedura nel suo insieme».
È da prendere in considerazione che non sono state rilevate prove tangibili che l’americana sia stata sottoposta a “trattamento inumano e degradante” del quale la stessa si era lamentata a mezzo dei propri legali. La Corte, infatti, afferma che: “ci sono prove insufficienti per concludere che i fatti si siano verificati” e quindi decreta che non vi sia stata violazione.
Amanda Knox aveva sostenuto di aver subito un processo iniquo e di essere stata maltrattata durante l’interrogatorio, invocando in particolare la violazione dell’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti Umani affermando che “gli scappellotti” che ha ricevuto alla testa costituissero un trattamento inumano e degradante.
Pertanto, alla luce delle decisioni assunte dalla CEDU, Il Governo italiano dovrà fornire alla Corte le prove per discolparsi dalle accuse di Knox.
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