La corruzione “liquida”

Di Giovanni Tartaglia Polcini -

La mafia contemporanea, silente e mercatista, non è meno pericolosa di quella violenta, soprattutto in tempi di crisi.

L’Italia è un attore globale ed è protagonista indiscusso nei processi multilaterali di diplomazia giuridica[1]: nel 2021, dopo la crisi dovuta alla pandemia Covid-19, il nostro Paese avrà la chairmanship del G20 e nel 2024 quella del G7.

Siamo una superpotenza nella cultura giuridica universale ed incarniamo come sistema, per unanime riconoscimento, il modello di riferimento globale nella prevenzione e repressione del crimine organizzato, anche transnazionale[2].

Una simile constatazione, per le sue implicazioni di enorme rilievo, impone oggi una riflessione ab intra sulla fattispecie più significativa nella legislazione antimafia, anche alla luce del clamore suscitato da una recente e ben nota decisione giurisprudenziale, in merito all’applicabilità o meno del delitto di cui all’art.416 bis c.p. alle nuove organizzazioni criminali, che si distinguono nettamente dalle mafie violente ed intimidatrici di trenta anni fa[3].

A ben vedere, nell’ultimo decennio, si è creata sul punto una vera e propria divaricazione nella giurisprudenza di legittimità, non ancora sopita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

Tale polarizzazione interpretativa riguarda precisamente il comma terzo dell’art. 416 bis c.p., a mente del quale: “L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva”.

Da un lato, difatti, si contano pronunce fedeli al testo letterale della disposizione, per le quali è imprescindibile che il metodo mafioso trovi una concreta estrinsecazione nella realtà fenomenica[4]. Dall’altro, una diversa corrente ha ritenuto superfluo riscontrare un effettivo utilizzo della forza di intimidazione, della quale dunque non rileverebbe l’attualità ma la sola mera potenzialità[5].

Per altro verso ancora si è percorso più volte il cammino argomentativo della sufficienza, ai fini della contestazione dell’art.416 bis c.p. di un’intimidazione anche meramente ambientale e frutto delle relazioni di corruttela consolidate ed in grado di piegare la libertà del mercato e della stessa relazione con la pubblica amministrazione[6].

Ad ulteriori riflessioni problematiche, invero, condurrebbe l’orientamento restrittivo, relativamente all’operare delle mafie transnazionali e straniere[7].

Proprio l’evocata sentenza della Corte di Cassazione[8] sul caso “mafia capitale” ha evidenziato la persistenza del contrasto giurisprudenziale[9] e la conseguente impellente necessità di un intervento delle Sezioni Unite, o in alternativa, di una riscrittura della fattispecie, non potendosi forse colmare per via interpretativa e “qualificativa” la distanza ontologica tra la condotta ipotizzata e  calibrata alle mafie violente di prima generazione dalla legge 646 del 1982[10] e le organizzazioni criminali contemporanee.

Volendo ancora approfondire l’analisi storico fattuale e fenomenologica della criminalità organizzata per come dovrebbe essere qualificata secondo un approccio meno formalista e più aderente alla realtà, giova richiamare una recentissima sentenza della Cassazione intervenuta su di un gruppo criminale operante ad Ostia che nonostante le migliori intenzioni cade, a mio sommesso avviso, nello stesso equivoco ontologico[11].

La Corte di Cassazione, per qualificare concretamente il contenuto di quell’ambito operativo ha preso le mosse dal presupposto che il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. appartiene alla classe dei reati associativi a “struttura mista” – ovvero quei reati associativi che richiedono un quid pluris rispetto alla mera organizzazione in sé considerata costituito, appunto, dall’effettiva pratica del “metodo mafioso”, in ciò contrapponendosi all’associazione criminale “semplice” di cui all’art. 416 c.p. – per ribadire che “la fattispecie incriminatrice richiede per la sua integrazione un dato di «effettività»: nel senso che quel sodalizio si sia manifestato in forme tali da aver offerto la dimostrazione di «possedere in concreto» quella forza di intimidazione e di essersene poi avvalso”.

Il tema nondimeno, non è l’esistenza di quell’elemento, bensì il riempimento di quel concetto: la “caratura oggettiva”, soggiunge la Corte, “vale anche a consegnare alla fattispecie un coefficiente di offensività tale da giustificare, sul piano della proporzionalità, il rigoroso editto sanzionatorio, in linea con i più recenti approdi della Corte costituzionale”, in quanto è proprio il metodo di cui l’associazione – per tipizzarsi – deve «avvalersi» a convincere del fatto che l’intimidazione e l’assoggettamento omertoso che ne devono derivare, rappresentano in sé un «fatto» che può prescindere dalla realizzazione degli ulteriori «danni» scaturenti dalla eventuale realizzazione di specifici reati-fine”.

Ed è proprio questo il punctum dolens dell’intero ragionamento: oggi mafia è e dovrebbe essere a livello normativo, anche quella silente e mercatista che si fa forte del potere economico corruttivo stabilmente infiltrato, senza armi o violenza fisica.

Risulta perciò indispensabile l’adozione di una chiara soluzione di politica criminale che tenga in considerazione queste continue metamorfosi delle mafie.

Una nuova fattispecie incriminatrice potrebbe far rientrare a pieno titolo nell’alveo dell’art. 416 bis c.p. anche le relazioni illecite fra apparati pubblici e crimine organizzato in forma stabile e associata che caratterizzano il fenomeno storico delle mafie contemporanee.

In questa cornice logico-argomentativa si pone il filone di pensiero che propugna una “visione olistica dei fenomeni corruttivi” secondo cui mafia e corruzione non possono essere più ritenuti crimini tra loro distinti e distanti: occorre prenderne atto ed affinare in parte qua lo statuto speciale antimafia italiano, in modo da essere anche interpreti e pionieri, ora come allora (negli anni 90), di un ruolo apripista a livello mondiale in sede multilaterale in questa materia.

I due più grandi interpreti della lotta alla mafia nella storia Repubblicana, oggi riconosciuti come esempi di eroismo in tutto il mondo, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, lo avevano intuito e teorizzato già 30 anni fa: le mafie si evolvono e si adattano e quasi si plasmano al contesto socio-economico e politico di riferimento; le mafie si infiltrano nell’economia e nella politica, ad alto livello; vi è la necessità cruciale di adattare e migliorare gli strumenti per contrastare le nuove forme e le sfide della criminalità.

Del resto, il fenomeno di osmosi tra le legislazioni anticorruzione ed antimafia, che ha visto estendere ai delitti dei pubblici ufficiali nei confronti della pubblica amministrazione molte delle regole speciali scritte in tema di lotta alla mafia (ad esempio in materia di confisca, misure di prevenzione personali, agente sotto copertura e strumenti investigativi speciali) già dimostra questa tensione e disvela una crescente attenzione anche del legislatore al nodo centrale della problematica[12].

 

Il titolo prescelto di corruzione liquida vuole attirare l’attenzione proprio sulla fisionomia operativa delle nuove mafie e mutua il linguaggio dalla celebre definizione della società contemporanea del sociologo tedesco Zygmunt Baumann[13]: mi propongo difatti di descrivere a mezzo di un’endiadi metaforica proprio le caratteristiche operative del crimine organizzato ed economico moderno.

Ho scelto di sostenere il concorso in Magistratura dopo aver letto un articolo pubblicato da “L’Unità” il 31 maggio 1992, otto giorni dopo la strage di Capaci, nel quale Giovanni Falcone tracciava con chiarezza un quadro dell’evoluzione di Cosa Nostra a partire dal dopoguerra e denunciava la sottovalutazione che, per molto tempo, aveva caratterizzato l’approccio delle istituzioni al problema della mafia.

L’opzione definitoria sopra illustrata muove oggi da una considerazione preliminare di natura sociologica: crimine organizzato e corruzione non possono più essere considerati mondi separati[14].

In altri termini, può ancora esistere un’ipotesi di corruzione senza il coinvolgimento delle reti criminali e delle mafie[15], ma non possono esistere mafie e criminal networks senza corruzione[16].

La criminalità organizzata moderna utilizza la corruzione come strumento privilegiato di operatività. Essa si infiltra nell’amministrazione pubblica e nell’economia attraverso metodi non violenti, che si declinano anche mediante l’esercizio di attività di impresa (lecita o illecita, riciclando gli enormi capitali prodotti dalle primarie attività criminali).

Corruzione, riciclaggio ed imprese illecite consentono alle mafie di occupare interi cicli economici in ampi territori[17].

Su di un piano più generale, le caratteristiche differenziali della criminalità organizzata contemporanea rispetto alle mafie che definisco di prima generazione ed alla criminalità comune ne disegnano chiaramente la fisionomia: i gruppi criminali di oggi dispongono di risorse stabili[18], offrono beni e servizi illegali -ma anche legali-, sulla base delle domande del mercato e utilizzano meccanismi sofisticati per gestire l’economia, assicurano ordine e protezione soprattutto economico-sociale e si manifestano come espressione di un’identità collettiva incentrata sulla ricerca del profitto, più che sul controllo del territorio mediante violenza o minaccia.

Il mafioso assume le vesti di imprenditore e l’enorme incremento del patrimonio lo porta ad avvalersi dell’ausilio di brokers, di soci di intermediazione addentrati nella pubblica amministrazione. Le mafie con le loro imprese gestiscono interi settori dell’economia, acquisendo quote rilevanti nel mercato delle costruzioni, nel settore della sanità (farmacie, cliniche e laboratori, trasporto infermi) nel controllo del ciclo di rifiuti, nell’agricoltura, nella distribuzione alimentare e nei mercati ortofrutticoli, nel settore della vigilanza privata, delle onoranze funebri e della raccolta di scommesse (e l’elenco potrebbe continuare).

È mutata la strategia stessa della criminalità organizzata nella modalità acquisitiva del potere e della mobilitazione del consenso sociale.

Le reti criminali contemporanee approfittano della globalizzazione, delle nuove tecnologie e del cyberspace, tendono all’accumulazione di asset finanziari enormi ed in grado di influenzare i processi decisionali: le mafie finiscono per rappresentare un pericolo per la stessa libertà di mercato ed i capisaldi dello stato di diritto.

In casi estremi le organizzazioni criminali minano alla base l’indipendenza della giustizia e la stessa democrazia, presentandosi come soggetti politici che contribuiscono in maniera significativa alla comparsa di veri e propri “rough states[19].

In linea più generale, fine ultimo di questo salto di qualità della criminalità organizzata è la creazione delle basi sociali per l’accettazione culturale collettiva della corruzione come male necessario, generando una vis cui resisti non potest, come il prezzo da pagare per il benessere e la sicurezza stessa, in un sistema in cui i valori si confondono con i disvalori e si mettono in discussione i principi fondamentali della società basata sul diritto.

Il venir meno della violenza e della minaccia come strumento principale di operatività di queste organizzazioni criminali non le rende meno pericolose: semmai ne amplifica esponenzialmente la potenzialità operativa e ne accresce la micidialità per la società moderna (attraverso la loro natura sotto traccia ed invisibile di creeping).

Le caratteristiche del crimine organizzato moderno sono ricorrenti in tutto il mondo: la transnazionalità delle organizzazioni più attive è una realtà oggettiva. Alcune mafie, come ad esempio la ‘ndrangheta, i cartelli messicani e gruppi criminali russi, sono operative con interessi in tutti i continenti[20].

Gli schemi corruttivi e di riciclaggio sono ricorrenti e si presentano con affinità disarmanti in tutto il pianeta.

La stessa corruzione, nelle sue forme più gravi, è transnazionale: la foreign bribery è una modalità operativa diffusa globalmente, che inquina l’economia e frena lo sviluppo sostenibile dell’intera umanità[21].

Volendo utilizzare uno schema geometrico, il crimine organizzato ed i criminal networks si pongono al vertice alto di un triangolo che vede agli angoli della base, da un lato l’amministrazione pubblica e dall’altro l’economia. Sui due lati possiamo intravedere da una parte la corruzione come metodo di infiltrazione nell’amministrazione della cosa pubblica e dall’altro il riciclaggio e l’impresa illecita come strumento di operatività nei mercati.

Corruzione liquida è un’endiadi che richiama il concetto di infiltrazione. L’infiltrazione costituisce un fenomeno fisico che descrive la penetrazione di un liquido attraverso tutti gli interstizi di un solido. Nella metafora il liquido sono le mafie ed il solido la nostra società.

Più la società è coesa, meno essa consente l’infiltrazione. E, se la società mostra crepe, lì si insinua il crimine approfittando delle debolezze degli uomini.

Avidità, senso etico scarso o del tutto assente, aridità ed incultura valoriale rappresentano il primo punto di approdo delle mafie che si industriano per comprare i favori di questo o quel pubblico ufficiale.

Nello schema tipo della corruzione vissuta il primo gradino in una scala negativa ingravescente è la petty corruption: la tangente una tantum. In questo caso[22] è agevole distinguere tra corruttore e corrotto.

Ma le mafie hanno bisogno di termini di riferimento stabili e cercano persone di cui fidarsi all’interno delle diverse figure soggettive che compongono il complesso organizzativo dell’amministrazione pubblica.

Sebbene si tratti di casi di piccola entità, una simile modalità operativa è costosa se ripetuta infinite volte e pone, d’altro canto, le organizzazioni criminali ad un rischio esponenziale di delazione, aumentando la platea dei potenziali concorrenti “inaffidabili”[23].

Nasce così il secondo gradino del fenomeno infiltrativo, che corrisponde alla cosiddetta “messa a libro paga” o compravendita della funzione stabile[24].

Il pubblico ufficiale mette a disposizione la propria funzione e non per un solo atto, non già per la cura dell’interesse collettivo, bensì per assicurare il raggiungimento degli scopi illeciti del clan.

Anche suddetto secondo schema corruttivo è divenuto nel tempo costoso economicamente e pericoloso dal punto di vista della fiducia, permanendo il pubblico ufficiale un estraneo all’organizzazione che, anche in ragione della ricorrente devianza dell’azione amministrativa, potrebbe porsi come una pericolosa fonte di informazioni per la polizia giudiziaria e la magistratura.

L’estraneo non ha lo stesso vincolo di assoggettamento ed omertà che caratterizza i partecipi di un clan.

Di qui la scelta sempre più diffusa di infiltrare all’interno della pubblica amministrazione uomini propri delle cosche, che sono allo stesso tempo membri dell’associazione per delinquere di tipo mafioso e funzionari pubblici, inglobati nell’amministrazione e al di sopra di ogni sospetto.

Questo terzo gradino di ingresso delle mafie (e dei gruppi criminali organizzati in genere) nell’amministrazione pubblica si è dimostrato di successo ed ha fatto crescere nel tempo le ambizioni delle cosche: l’infiltrazione è avvenuta sempre più a livelli elevati, fino a giungere ai vertici soprattutto degli enti locali territoriali, come il numero dei provvedimenti di scioglimento degli enti locali e la realtà investigativa più recente insegnano e confermano[25].

Le mafie aspirano a determinare, in concreto, anche le scelte politiche territoriali, infiltrandosi ai più alti livelli.

Questo fenomeno di corruzione liquida costituisce una costante globale e quando interessa livelli più alti di governo, come la storia recente di numerosi paesi ci induce ad affermare, genera una situazione estrema e dà luogo ai cd. Captured States[26].

Anche in quei casi operatività dei networks criminali e corruzione giocano un ruolo cruciale, così come ampiamente condiviso a livello internazionale.

In dette ipotesi, peraltro, agendo l’infiltrato come intraneo all’associazione e contemporaneamente pubblico ufficiale, lo stesso schema tipico del delitto di corruzione sembra inadeguato.

L’acquisizione della consapevolezza in ordine alla centralità della prospettata questione, alla sua rilevanza ed urgenza, si avverte ancor più in un momento come quello attuale, che vede l’economia piegata dalla pandemia e l’ambiente socioeconomico esposto agli interessi ed al pericolo di “approfittamento” del crimine organizzato, come sagacemente indicato, con tempismo eccezionale, dal Procuratore Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo Federico Cafiero de Raho[27].

Le organizzazioni mafiose hanno sempre trasformato le situazioni di emergenza presentatesi nella società in occasioni di guadagno (come avvenuto per le calamità naturali e le crisi della gestione dei rifiuti e dell’immigrazione).

L’alert sui pericoli di infiltrazione del crimine organizzato, dei networks internazionali e della grande corruzione nell’economia e soprattutto nel settore della sanità al tempo del Coronavirus è stato ampiamente raccolto sul piano globale dalle principali organizzazioni internazionali, a testimonianza -ancora una volta- della grande visione e del potenziale dell’arsenale italiano antimafia anche sul piano della armonizzazione normativa internazionale e l’edificazione di un ordinamento giuridico multilivello[28].

Emblematico è il fenomeno di soccorso delle mafie, che godono del consenso sociale per la catena di solidarietà messa in campo.  Proprio perché lo stato di crisi cagiona l’impoverimento delle persone e il blocco delle attività produttive, l’immissione nel mercato di grandi quantità di denaro rende la criminalità organizzata attiva e vieppiù pericolosa nella gestione delle attività. I flussi di denaro stanziati sono spesso tempestivi, a fronte di esigui controlli.

Ed in questa modalità operativa di intimidatorio e violento non vi è nulla. Ma è possibile immaginare che quelli descritti siano fenomeni non mafiosi?

Concludo questo breve excursus logico argomentativo con un’ultima considerazione prospettica: adattare il quadro normativo alla nuova fisionomia della mafia è fondamentale, così come è decisivo intendere la necessità di contrastare mafie a corruzione insieme.

 

Epperò, questo non basta.

Di fronte a simili fenomenologie socio criminali non si può pensare di reagire solo reprimendo le condotte in sede penale: l’integrità e la trasparenza non si impongono dall’alto.

Non è il numero di adempimenti e di regole che assicura il risultato, bensì è essenziale quella svolta culturale, quella disseminazione valoriale di cui una società liquida come quella contemporanea ha assoluto bisogno.

Quelle debolezze che generano le crepe e nelle quali si infiltra il crimine non vengono meno per la paura di una sanzione: pensare diversamente è illusorio.

Occorre pertanto muovere anche sul piano della pedagogia sociale, della condivisione delle scelte, della democrazia partecipata, in poche parole dello stato di diritto nella sua più alta concezione.

La doppia leva di un ambiente economico legalmente orientato in un ordinamento giuridico sempre più multilivello, che armonizza le più significative norme di tutela sul piano globale, adattate alla modernità del crimine e della chiamata ad una compartecipazione attiva e ad una vigilanza collaborativa della società civile, rappresentano unite la vera ed unica arma letale per le mafie contemporanee silenti e mercatiste, che non sono meno pericolose di quelle violente di trenta anni fa.

[1] Per una panoramica generale si veda La diplomazia giuridica di Giovanni Tartaglia Polcini e Alfredo Maria Durante Mangoni – Edizioni Scientifiche Italiane (ESI), Napoli, 30 marzo 2019.

[2] Ed invero, non è peregrino affermare che la UNTOC (Convenzione di Palermo delle Nazioni Unite contro il Crimine Organizzato Transnazionale) ed il suo recentemente approvato meccanismo di revisione, si ispirino al nostro sistema antimafia; inoltre, sul piano globale, non sono rare le ipotesi di omologazione dei paradigmi normativi di importanti ordinamenti giuridici alla nostra legislazione. Ad esempio, nel recente pacote anticrime, approvato su proposta del Ministro della giustizia Sergio Moro, il codice penale del Brasile ha mutuato il nostro articolo 416 bis c.p. con pochi adattamenti.

[3] Così come si distingue dai cartelli sanguinari latino americani (maras, pandillas e narcos, primero comando da capital, comando vermello), che si manifestano molto più vicini al modello di cosa nostra all’epoca dello scontro frontale e sanguinario con le istituzioni repubblicane. Per quanto, a ben vedere, anche le mafie latino americane stanno iniziando a trasformarsi in soggetti nuovi ed evoluti sul piano della modalità operativa transnazionale.

[4] Cfr. ex multis, Cass. pen. sez.VI, 28 dicembre 2017 n. 57896 (ud. 26 ottobre 2017).

[5] Cfr. Corte App. Roma, Sez. III, sent. n. 10010 11 settembre 2018 (dep. 10 dicembre 2018).

[6] Cfr. ex multis, Cass. Pen. sez.II 16 marzo 2020 n.10255 (ud.29 novembre 2019).

[7]  Un estratto paradigmatico di detto orientamento “riduzionista” si rinviene in una pregevole decisione, secondo la quale richiedere ancora oggi la prova di un’effettiva estrinsecazione del metodo mafioso potrebbe tradursi nel configurare la mafia solo all’interno di realtà territoriali storicamente o culturalmente permeabili dal metodo mafioso o ignorare la mutazione genetica delle associazioni mafiose che tendono a vivere e prosperare anche sott’acqua, cioè mimetizzandosi nel momento stesso in cui si infiltrano nei gangli dell’economica produttiva e finanziaria e negli appalti di opere e servizi pubblici. Cfr. Cassazione Penale sez. II n. 24851 del 04/04/2017, Garcea vs. altri.

[8]  Cfr. anche Cass. Pen. Sesta sezione penale 22 ottobre 2019.

Da ultimo, la stessa Corte di Cassazione ha sapientemente scolpito un vademecum per un’applicazione ragionevole del delitto associativo alle formazioni criminali “autoctone”, quelle cioè per le quali non basta la parola “mafia” per identificarne il carattere penalmente significativo.

In particolare, i Giudici di legittimità si sono sforzati di conferire natura quanto più oggettivistica possibile alla verifica in ordine al ricorrere, nel caso concreto, degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice in parola. Operazione non priva di insidie invero, sol se si pensi agli scenari interpretativi dischiusi dalla tipizzazione normativa: non comportamenti individuali circoscritti bensì dinamiche collettive (perfino) socialmente rilevanti, tanto sul versante degli autori quanto su quello degli effetti delle condotte punibili.

A tal proposito, i giudici ricordano anzitutto che “Il legislatore non si è limitato a “registrare” realtà (talvolta secolari) già presenti, come la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, la “Sacra corona unita”, ecc., da tempo dotate di un nomen (localisticamente connotativo – particolare importante perché evocativo del sincretismo che normativamente caratterizza il binomio associazione mafiosa e territorio), con correlativi insediamenti, articolazioni periferiche, prestigio, e “fama” criminale da “spendere” come arma di pressione nei confronti dei consociati (tanto che con riferimento alle c.d. mafie locali il collegamento della nuova struttura con la casa madre e l’adozione di un modulo organizzativo che ne abbia i tratti distintivi possono costituire espressione della capacità di intimidazione; Sez. 5, n. 28722 del 24/5/2018, Rv. 273093; Sez. 2, n. 24850 del 28/3/2017, Rv. 270290), ma ha anche aperto un indefinito ambito operativo, per così dire “parallelo”, destinato a perseguire tutte le altre aggregazioni (anche straniere) che, malgrado prive di un nomen e di una “storia” criminale, utilizzino metodi e perseguano scopi corrispondenti alle associazioni di tipo mafioso già note”.

[9] Occorre considerare che il contrasto interpretativo si è addirittura manifestato all’interno dello stesso processo, poiché in fase cautelare, la stessa Corte di Cassazione, Sezione VI penale, aveva così statuito (n. 24535 del 10 aprile 2015 e depositata il 9 giugno 2015) “Ai fini della configurabilità del reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, la forza intimidatrice espressa dal vincolo associativo dalla quale derivano assoggettamento ed omertà può essere diretta a minacciare tanto la vita o l’incolumità personale, quanto, anche o soltanto, le essenziali condizioni esistenziali, economiche o lavorative di specifiche categorie di soggetti. Ferma restando una riserva di violenza nel patrimonio associativo, tale forza intimidatrice può venire acquisita con la creazione di una struttura organizzativa che, in virtù di contiguità politiche ed elettorali, con l’uso di prevaricazioni e con una sistematica attività corruttiva, esercita condizionamenti diffusi nell’assegnazione di appalti, nel rilascio di concessioni, nel controllo di settori di attività di enti pubblici o di aziende parimenti pubbliche, tanto da determinare un sostanziale annullamento della concorrenza o di nuove iniziative da parte di chi non aderisca o non sia contiguo al sodalizio”.

[10] In molti ritengono non rinviabile affrontare il problema di una rivisitazione critica (in senso ampliativo, si intende) della legislazione adottata nel settembre del 1982 con la legge 13 settembre n. 646, (legge meglio nota come Rognoni-La Torre), che fece seguito agli omicidi dell’on. Pio La Torre del 30 aprile e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa del 2 settembre di quell’anno.

[11] Cass. Pen. sez.II 16 marzo 2020 n.10255 (ud.29 novembre 2019).

[12] Vedi la legge n. 3 del 2019.

[13] Il sociologo ne ha tratteggiato gli estremi in numerose opere particolarmente critiche della modernità e della globalizzazione nel corso della sua lunga carriera. La critica alla mercificazione delle esistenze e all’omologazione planetaria appare addirittura spietata soprattutto in Vite di scarto, Dentro la globalizzazione e Homo consumens.

[14] Anzi si sconta un forte ritardo a livello internazionale nel prendere coscienza delle forti interrelazioni che caratterizzano i due fenomeni che proprio alcune proposte italiane tentano di superare.

[15] Si tratta di una corruzione di portata minore, episodica e generalmente di rilievo davvero minore (la cd. petty corruption).

[16] Cfr. N. Dalla Chiesa, 10 aprile 2019, UNILIBERA Milano.

[17] Le organizzazioni criminali offrono beni e servizi illeciti sulla base delle domande del mercato e utilizzano meccanismi sofisticati per gestire l’economia. Il mafioso, dunque, diventa imprenditore e l’enorme incremento del patrimonio lo porta ad avvalersi dell’ausilio di brokers, di soci di intermediazione.

[18] È impensabile oggi contrastare i gruppi criminali solo con misure personali e senza un robusto ricorso alle confische: la stessa indagine penale e di prevenzione in subjecta materia dovrebbe sempre essere diretta ad entrambi i profili strutturali e funzionali delle cosche.

[19] Espressione controversa utilizzata da alcuni teorici anglosassoni di scienze politiche all’inizio del XXI secolo per riferirsi a taluni Stati considerati una minaccia per la pace mondiale.

[20] Come accennato evolvendosi in soggetti economici transnazionali.

[21] Cfr. per un interessante esame delle conseguenze della corruzione sull’economia i g20 High Level Principles on Corruption and Growth.

[22] Gli inglesi definiscono petty corruption la “bustarella” o il piccolo “favore”.

[23] Proliferano nel mondo nuove legislazioni che tendono a rompere l’accordo tra corruttore e corrotto, riconoscendo consistenti sconti di pena o addirittura esimenti a chi, propalando, evita che il reato venga portato a conseguenze ulteriori.

[24] Cfr. l’art.318 c.p. del Codice penale italiano vigente.

[25] Artt. 143-146 del d. lgs. 267 del 2000.

[26]  Il termine “state capture” è stato usato per la prima volta dalla Banca Mondiale attorno all’anno 2000, per descrivere la situazione che alcuni paesi dell’Asia centrale stavano affrontando nel processo di transizione post-sovietica. Ne è stato evocato storicamente il concetto per numerosi casi di corruzione ai più alti livelli istituzionali, perfino dei capi di Stato, nel mondo (Brasile, Guatemala, Peru, Korea del Sud, Tunisia, Ukraina).

[27] Cfr. tra i tanti articoli riportanti il pensiero del PNA: “La pandemia accresce i rischi di infiltrazioni mafiose”, 2 Maggio 2020, First On line Intervista di Filippo Cucuccio.

[28] Gli organismi internazionali hanno prodotto interessanti contributi sull’esigenza di contrasto alla corruzione in tempo di pandemia: l’OCSE ha adottato uno Statement del WGB e il policy brief Public integrity for an effective Covid-19 Response and Recovery; il GRECO (in seno al CoE) ha adottato /Guidelines/covid-19-pandemic-greco-warns-about-corruption-risks e l’UNODC un documento di orientamento per le policy degli Stati Parte della UNCAC. Da ultimo anche il GAFI si è pronunciato sul punto.

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