Il Paradosso di Trocadero

Di Giovanni Tartaglia Polcini -

Riflessioni a caldo, a margine di un colloquio parigino di qualche anno fa, con alcuni colleghi studiosi, avente ad oggetto la misurazione della corruzione.

Ricordo l’insegnamento di un grande Maestro, che con la semplicità che lo contraddistingueva nel parlare, un giorno affermò: se non dici ciò che fai e non spieghi ciò che sei, lasci il tempo agli altri di dire ciò che non sei e ciò che non fai.

Scorrendo l’ultima classifica del Corruption Perception Index di Transparency International, ho difatti ricordato quelle parole, che ispirarono l’elaborazione teorica del cosiddetto paradosso degli indici percettivi.

Esso sinteticamente può così definirsi: più si perseguono i fenomeni corruttivi sul piano della prevenzione e le fattispecie di reato sul piano della repressione, maggiore è la percezione del fenomeno.

Si tratta di un dato di fatto non revocabile in dubbio che disvela, senza appello, la fallacia dell’indice di percezione. È un’aporìa la cui unica via di uscita è rappresentata dalla scienza e dalla conoscenza.

L’indice di percezione è fallace in linea generale: esso, difatti, cede sul piano della logica alla realtà normativa e fattuale. Nato per il nobile scopo di superare, sotto il profilo della detection, l’omertà insita nel pactum sceleris che caratterizza la corruzione, intesa in senso stretto e proprio, col tempo, il CPI (corruption perception index) ha visto estendersi la sua sfera di operatività, ben oltre la bribery, finendo per coprire ogni aspetto di maladministration.

L’effetto distorsivo collegato a suddetto ontologico assunto, corrispondente all’abuso dei ratings asseritamente collegati all’applicazione dell’indice, ha concorso a penalizzare soprattutto gli ordinamenti più attivi dal punto di vista della reazione alla corruzione in tutte le sue forme.

Dalla distorsione, vieppiù, si è passati al paradosso vero e proprio, quando si sono paragonati ordinamenti dal punto di vista della percezione della corruzione senza tenere conto di quelle che erano le relative caratteristiche istituzionali e di normativa processuale penale.

Alludo alle peculiarità ordinamentali che disegnano il nostro sistema giuridico, come sistema a tenuta forte nel contrasto alla corruzione: l’autonomia del pubblico ministero, l’indipendenza della magistratura in genere, l’obbligatorietà dell’azione penale, l’assoluta libertà di stampa in ordine alla pubblicazione anche delle notizie di reato fin dalle prime battute dell’indagine.

Tradotto sul piano pragmatico, l’arsenale costituzionale italiano pone effettivamente tutti i cittadini in una posizione di uguaglianza assoluta davanti alla legge. Nessuno è immune dalle investigazioni anticorruzione. Tutte le notizie di reato in materia di corruzione sono suscettibili di necessaria determinazione da parte del pubblico ministero. Non vi potrà mai essere valutazione di opportunità circa il procedere o meno nei confronti di un pubblico funzionario per fatti di corruzione così come per altri reati, fino alle più alte cariche dello Stato, fatte salve le prerogative del Presidente della Repubblica. Giammai vi sarà una valutazione, usuale in altri ordinamenti, sulla ricorrenza del cosiddetto interesse nazionale, nel perseguire una public company coinvolta in fatti di corruzione internazionale.

A ciò si aggiunga il fatto che, nel nostro sistema giuridico, anche la semplice informazione di garanzia e l’iscrizione di un nominativo al registro degli indagati, qualora oggetto di conoscenza legittima, possono essere pubblicati in tempo reale sui media.

Ed anzi, la costante attenzione dell’opinione pubblica sui fatti di corruzione, alimentata da una stampa incline – spesso – al sensazionalismo, conferma l’esistenza di una relazione direttamente proporzionale tra regole forti, lotta alla corruzione e percezione della corruzione.

Se si riflette sul fatto che l’indice di percezione della corruzione è assurto a livello internazionale a parametro di riferimento sulla affidabilità dei Paesi e dei loro sistemi giuridici ed economici, si può ben comprendere come il paradosso nell’uso di certe misurazioni possa falsare la comparazione tra ordinamenti.

Nell’epoca dello sviluppo sostenibile, dell’ambiente legalmente orientato in un ordinamento giuridico multilivello, del multilateralismo costruttivo, degli sforzi comuni per la creazione di un level playing field globale, della lotta ai paradisi normativi e della promozione di un’armonizzazione minima dei sistemi giuridici penali, se non della globalizzazione stessa del diritto penale, l’indice di percezione della corruzione è quindi destinato a segnare il passo.

Si apre lo spazio doveroso e necessario per una econometria del diritto, per la giurimetrica della misurazione della corruzione, per una più realistica comparazione tra sistemi.

Il nostro ordinamento giuridico, da ultimo, non solo ha rafforzato le caratteristiche di repressione forte cui si faceva riferimento, ma addirittura ha sviluppato tutta una serie di interventi per strutturare una prevenzione generalizzata ed istituzionalmente organizzata della corruzione attraverso una serie di innesti alla legislazione vigente ed un nuovo modello di compliance pubblica che ruota intorno all’autorità nazionale anticorruzione, ai piani nazionali anticorruzione, alle linee guida ed agli strumenti correlati.

Si tratta di interventi normativi considerati modello globale che, unitamente ad altre caratteristiche italiane, fungono da fonte di ispirazione di importanti riforme negli altri ordinamenti (non soltanto dei paesi in via di sviluppo).

Se si considera questo ulteriore dato di fatto, si può comprendere perché, a mio avviso, l’utilizzo del solo indice di percezione della corruzione, quantunque originariamente processato per nobili intenzioni, dà luogo a risultati non sempre coerenti e quasi mai realistici.

Discorrere della fallacia degli indicatori di percezione è azione meritoria ed intellettualmente onesta, volta a contrastare la crescente attribuzione di affidabilità ai ccdd. indicatori percettivi, basati peraltro su sistemi di rilevazione a dir poco sconcertanti.

* Non intendo con il presente scritto affermare che l’Italia non sia un Paese caratterizzato da un significativo tasso di corruzione. Ciò che voglio, invece, affermare con vigore, è che il giudizio espresso nei confronti del nostro ambiente legalmente orientato – a livello internazionale – è spesso ingeneroso, se non errato con notevoli conseguenze anche sul piano macroeconomico.

Le opinioni espresse nell’articolo, di natura prettamente scientifica, sono esclusivamente a me riferibili e non esprimono alcuna posizione di pubbliche amministrazioni sull’argomento trattato.

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