Il diritto di accesso agli atti quale tutela della trasparenza e presidio della prevenzione rispetto alle condotte corruttive

Di Pierpaolo Rivello -
  1. Considerazioni generali.

Negli ultimi anni si assiste ad una sempre più sviluppata accentuazione della sensibilità verso due problematiche solo apparentemente confliggenti fra loro. Da un lato infatti viene avvertita l’esigenza ad una  maggiore  “trasparenza” degli atti della pubblica amministrazione, affinché la collettività possa immediatamente comprendere il perché di determinate scelte e soluzioni, aventi non di rado un impatto estremamente significativo sulla vita quotidiana, in un’ottica che rappresenta, come è stato efficacemente osservato, una sorta di “rivoluzione copernicana” e di “mutazione genetica” dei rapporti tra i singoli e la P.A. [1].

D’altro canto la matura consapevolezza dell’importanza di un’efficace tutela della privacy e della protezione dei dati induce a focalizzare l’attenzione sui rischi connessi alla trasmissione di determinate notizie.

In realtà, queste tematiche appaiono riconducibili ad un ambito unitario, in quanto la possibilità di una corretta e tempestiva informazione deve accompagnarsi alla fiducia circa le modalità di conservazione dei dati e la loro tutela rispetto a possibili intrusioni da parte di terzi.

Al contempo, l’accessibilità e la trasparenza, consentendo il controllo sociale, permettono di prevenire e di contrastare i fenomeni di illegalità e di corruzione.

Risulta ispirato a quest’ottica, al pari del provvedimento ad esso immediatamente precedente, e cioè l’art. 5 del d. lgs. 14 marzo 2013, n. 33,  il d.lgs. n. 97 del 2016, avente ad oggetto il “Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni”, che sotto più di un aspetto trae le sue radici ideali dal c.d. Freedom of Information Act (FOIA) nordamericano, tipica espressione della proactive transparency, modellata secondo lo spirito dell’ opened approach,  alla luce del principio definibile come maximum disclosure .

Può osservarsi come detta impostazione rappresenti per il nostro paese il segnale di una netta evoluzione, se non di un vero e proprio mutamento di rotta, rispetto ad un passato relativamente recente, ispirato  al criterio, sancito dagli artt. 22 ss. della l.  n. 241 del 1990, in base al quale il diritto ad ottenere l’informazione sul contenuto degli atti doveva essere necessariamente correlato ad un ‹‹interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso››, e connotato, in generale, da un approccio che non sempre includeva indicatori e target di trasparenza tra i piani di performance della Pubblica Amministrazione.

2. I mutamenti in chiave normativa.

Rispetto a questa logica  la più recente legislazione segna indubbiamente un cambiamento di prospettiva, rendendo possibile, grazie ad un accesso facilitato  agli atti della P.A., un controllo “diffuso” sulle modalità di funzionamento della stessa e sull’utilizzo delle risorse pubbliche[2], ormai  indipendente rispetto alla titolarità di situazioni giuridicamente rilevanti, e volto a fare della pubblica amministrazione una vera “casa di vetro” [3], ove  ognuno  può essere in grado di  conoscerne i meccanismi, le attività e le  decisioni, essendo la trasparenza una sorta di “patrimonio” della collettività [4].

Non a caso l’art. 2 del d. lgs. n. 97 del 2016 collega il principio di trasparenza alla possibilità di un accesso ampio ai dati e ai documenti della pubblica amministrazione, evidenziando come ciò possa agevolare una maggiore interazione con essa.

L’art. 6 del d.lgs. n. 97 del 2016, nel riscrivere l’art. 5 del d. lgs. n. 33 del 2013, delineando quello che può essere definito il “nuovo diritto di accesso”, ha sancito che l’esercizio di questo diritto non deve essere sottoposto ad alcuna limitazione in relazione alla legittimazione soggettiva, sia pur precisando che occorre comunque ‹‹identificare i dati, le informazioni o i documenti richiesti››.

Appare opportuno ricordare come, nel corso dell’elaborazione normativa, fosse stato predisposto inizialmente un  testo volto a prevedere la necessità di identificare ‹‹chiaramente›› i dati;  tale dizione fu poi modificata  nella versione definitiva, sulla base dei rilievi formulati dal Consiglio di Stato, volti a sottolineare che appariva ‹‹incongruo che l’istanza di accesso civico, considerati i suoi presupposti e le sue finalità, debba essere già in grado di identificare “chiaramente” i dati, le informazioni o i documenti richiesti contravvenendosi allo scopo per cui il nuovo istituto è oggetto di implementazione […]  E’ pertanto opportuno che il suddetto avverbio venga espunto ›› [5].

Almeno due sono gli indicatori di questa indubbia, ampia “apertura” alla possibilità di accesso civico. In primo luogo non occorre più una specifica motivazione nella richiesta da parte degli interessati; viene così ribaltata la logica accolta dall’art. 25, comma 2, della l. n. 241 del 1990, che imponeva invece la motivazione per la richiesta di accesso agli atti.

Inoltre, la “pratica” in oggetto è priva di spese, fatto salvo il necessario rimborso dei costi effettivamente sostenuti e documentati dall’Amministrazione per la riproduzione dei dati.

Il segnale di questo “nuovo volto” del diritto di accesso agli atti è chiaramente desumibile, come già accennato, dal mutato disposto dell’art. 5 del d. lgs. n. 33 del 2013, derivante dalla sostituzione operata dall’art. 6 del d. lgs. n. 97 del 2016.

Infatti, in base al primo comma di detta norma l’obbligo previsto in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati ‹‹comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione››.

D’altro canto il successivo secondo comma dispone che, allo scopo di favorire delle forme diffuse di controllo in ordine al perseguimento delle funzioni istituzionali e all’utilizzo delle risorse pubbliche e per realizzare la finalità di promuovere la partecipazione al dibattito ed alla vita pubblica ‹‹chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione››.

3. I doveri della Pubblica Amministrazione

A questa ampliata tutela corrisponde una rigida previsione di doveri in capo alla P.A, che è tenuta ad evadere le richieste, almeno in via generale, nel termine di trenta giorni, come espressamente chiarito dall’art. 6, comma 6 del d.lgs. n.  97: ‹‹il procedimento di accesso civico deve concludersi con provvedimento espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza con la comunicazione al richiedente e agli eventuali controinteressati››.

Al fine di fissare adeguati deterrenti per scongiurare l’inosservanza di simili previsioni e di introdurre al contempo misure incentivanti per favorirne l’implementazione l’art. 46, comma 1, del d. lgs. n. 97 del 2016 stabilisce che l’inadempimento degli obblighi di pubblicazione ed il rifiuto, il differimento e la limitazione dell’accesso civico ‹‹costituiscono elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione e sono comunque valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili››.

L’art. 47, comma 1, prevede inoltre che le violazioni in tema di mancata pubblicazione degli atti diano luogo ad una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 10.000 euro a carico del responsabile.

Tale impostazione non vale peraltro in relazione a determinati settori della vita dello Stato, ove una simile “apertura” non può invece operare. Essi sono delineati dall’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013, inserito dall’art. 6 del predetto d.lgs. n. 97, che fa riferimento: a) alla sicurezza pubblica; b) alla sicurezza nazionale; c) alla difesa ed alle questioni militari; d) alle relazioni internazionali; e) alla politica e alla stabilità finanziaria ed economica dello Stato; f) alla conduzione di indagini sui reati e al loro perseguimento; g) al regolare svolgimento di attività ispettive.

Si tratta di settori vitali ove l’interesse dello Stato deve necessariamente prevalere rispetto alla tutela dei diritti individuali. Ovviamente, ciò non significa che questi ambiti risultino a priori impermeabili ad ogni forma di accesso agli atti; in tal caso però le richieste individuali vanno subordinate al rispetto di ben precisi criteri (non previsti per gli altri settori), al fine di non compromettere queste prioritarie esigenze.

Il divieto di accesso agli atti è invece assoluto nell’ipotesi di cui all’art. 24, comma 1, lett. a) della l. n. 241 del 1990, concernente i documenti coperti da segreto di Stato.

Va sottolineato, o meglio va ribadito, lo strettissimo collegamento delineato dal legislatore fra l’impegno alla realizzazione di una diffusa trasparenza degli atti amministrativi e lo sforzo diretto ad un’efficace prevenzione di fenomeni corruttivi.

Al riguardo appare sotto più di un aspetto emblematico l’art. 43 del d. lgs. n. 97 del 2016 (Responsabile per la trasparenza), in base al quale all’interno di ogni amministrazione il responsabile per la prevenzione della corruzione svolge, almeno di norma, anche le funzioni di Responsabile per la trasparenza.

Come abbiamo osservato già in precedenza, molti sono i legami ideali tra questo importante segnale di attenzione da parte del legislatore italiano nei confronti di simili tematiche ed il Freedom of Information Act degli U.S.A.

Almeno tre sono le più dirette indicazioni ricavabili dal modello statunitense.

Innanzi tutto siamo in presenza di un livello di pubblicità e divulgazione degli atti dell’amministrazione estremante esteso, secondo canoni almeno in parte assai distanti, fino al più recente passato, da molti Paesi europei [6].

Inoltre, un’elevata attenzione a contenere le spese entro i limiti dell’assoluta indispensabilità a carico del soggetto che ha operato una richiesta di atti, o addirittura ad escluderle del tutto ‹‹if disclosure of the information is in the public interest because it is likely to contribute significantly to public understanding of the operations or activities of the government and is not primarily in the commercial interest of the requester››.

Infine, uno scupoloso sforzo di  soddisfare ‹‹as soon as practicable any request for records››, con la previsione che  ‹‹failure by an agency to respond in a timely manner to such a request shall be subject to judicial review ››.

[1] F. Caringella, R. Garofoli, M.T. Sempreviva, L’accesso ai documenti amministrativi, Giuffrè, Milano, 2007, p. 1 e 4.

[2] In quest’ottica risulta significativa la previsione dell’art. 5 del d. lgs. n. 97 del 2016, che ha inserito all’interno del d. lgs. n. 33 del 2013 l’art. 4-bis (Trasparenza nell’utilizzo delle risorse pubbliche),  il cui primo comma così stabilisce: ‹‹L’Agenzia per l’Italia digitale, d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze, al fine di promuovere l’accesso e migliorare la comprensione dei dati relativi all’utilizzo delle risorse pubbliche, gestisce il sito internet denominato “Soldi pubblici” che consente l’accesso ai dati dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni e ne permette la consultazione in relazione alla tipologia di spesa sostenuta e alle amministrazioni che l’hanno effettuata, nonché all’ambito temporale di riferimento››. In base al secondo comma del predetto articolo ‹‹ciascuna amministrazione pubblica sul proprio sito istituzionale, in una parte chiaramente identificabile della sezione “Amministrazione trasparente”, i dati sui propri pagamenti e ne permette la consultazione in relazione alla tipologia di spesa sostenuta, all’ambito temporale di riferimento e ai beneficiari››.

[3] Cfr. al riguardo E. Carloni, La “casa di vetro” e le riforme. Modelli e paradossi della trasparenza amministrativa, in Dir. pubbl .2009, n. 3, p. 779  ss.

[4] Cfr. C. Marzuoli, La trasparenza come diritto civico alla pubblicità, in G. Arena, G. Corso, G. Gardini, C. Marzuoli, F. Merloni (a cura di),  La trasparenza amministrativa, Giuffrè, Milano, 2008, p. 45 ss.

[5] Consiglio di Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, Parere del 24 febbraio 2016, n. 515.

[6] Basterebbe riportare, a titolo emblematico, il disposto del paragraph 552 (1), in base al quale Each agency shall separately state and currently publish in the Federal regisyter for the guidance of the public: b) statements of the general course and method by which its functions are channeled and determined, including the nature and requirements of all formal and informal procedures available; c) rules of procedure, descriptions of forms available or the places at which forms may be obtained, and instructions as to the scope and contents of all papers, reports, or examinations.

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