Convinzioni etico-religiose e principio di laicità. Riflessioni conclusive, con particolare riferimento alla pronuncia della Corte costituzionale sul caso Cappato.

Di Adelmo Manna -

La Corte costituzionale dal 24 settembre c.a. si è riunita in Camera di Consiglio per esaminare la legittimità costituzionale della punibilità dell’aiuto al suicidio di chi sia già determinato a togliersi la vita. Il 25 settembre c.a. è stato diramato dall’Ufficio Stampa della stessa Corte costituzionale un comunicato, che enuncia sostanzialmente il decisum della Corte, in attesa del deposito della sentenza. La Corte costituzionale, tenuto conto anche della precedente ordinanza n. 207 del 2018, che aveva rinviato la questione al Parlamento ma enunciando importanti criteri per quanto attiene alla questione della liceità dell’aiuto al suicidio, ha scelto la strada da noi ritenuta più consona ai principi costituzionali, cioè la non punibilità ai sensi dell’art. 580 del codice penale dell’agevolazione all’esecuzione del proposito di suicidio. Ciò però, secondo la Corte, può avvenire solo a determinate condizioni, nel senso che: a) il proposito di suicidio deve essersi autonomamente e liberamente formato; b) il paziente deve essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale; c) deve essere affetto da una patologia irreversibile; d) tale patologia deve essere fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili; e) ma il paziente stesso deve risultare pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. In attesa di un necessario intervento del legislatore la Corte ha, pertanto, subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua, ex artt. 1 e 2, L. 219/2017, nonché alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, sentito il parere del Comitato etico territorialmente competente. La Corte sottolinea infine che l’individuazione di queste specifiche condizioni e modalità procedimentali, si è resa necessaria per evitare rischi di abuso. Va da sé, infine, che rispetto alle condotte già realizzate dovrà essere il giudice a valutare la sussistenza di condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle indicate[1].

Dal comunicato dell’Ufficio Stampa della Corte costituzionale, potrebbe apparire, nonché dal contesto del comunicato medesimo, che la Corte, che ovviamente non può che dichiarare soltanto non punibile l’aiuto al suicidio, senza quindi prendere posizione a livello dogmatico sulla ratio della non punibilità, tuttavia avendo indicato numerose condizioni solo in presenza delle quali il soggetto che ha aiutato altri al suicidio non risulta punibile, farebbe pensare che la Corte si sia avvicinata alla, o che comunque la ratio della non punibilità risieda nella c.d. “giustificazione procedimentale”[2].

Tale tesi, seppure autorevolmente sostenuta, tuttavia non ha mai convinto completamente perché rischia di rimanere sostanzialmente di carattere descrittivo, senza cioè un approfondimento della ragione più profonda che possa avere indotto in questo caso la Corte costituzionale a dichiarare legittima la punizione dell’aiuto al suicidio.

A nostro avviso la Corte costituzionale appare essersi ispirata in particolare alla legge olandese ed alla legge belga in tema di eutanasia, giacché anche in tali leggi la ragione della liceità questa volta addirittura dell’eutanasia attiva, risiede in condizioni pressoché analoghe, cioè a dire: 1) una patologia di carattere allo stato irreversibile; 2) una sofferenza fisica o psichica non altrimenti lenibile; 3) il consenso valido ed effettivo del paziente[3].

Sia facendo riferimento alle caratteristiche delle leggi indicate che alla pronuncia della Corte costituzionale ci sembra appropriato il riferimento allo stato di necessità, in quanto colui che aiuta al suicidio non appare punibile proprio perché ha come obiettivo quello di salvare altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, certamente a colui che presta aiuto non volontariamente causato, né per le sofferenze estreme in cui versa il paziente, altrimenti evitabile e proprio l’incurabilità della malattia rende il fatto proporzionato al pericolo.

Pur tuttavia potrebbe apparire in un certo senso eterodosso applicare lo stato di necessità addirittura ad un’ipotesi di non punibilità di aiuto al suicidio ma, a nostro avviso, lo stato di necessità qui va inteso non già come giustificante bensì come scusante, che fa cioè riferimento ad un conflitto di doveri tra quello di salvare comunque la vita al paziente, tipica del giuramento di Ippocrate e quello altrettanto valido e cogente di eliminare  sofferenze altrimenti non sopportabili dal soggetto stesso[4].

Il problema, però, è che nella legge olandese ed in quella belga in particolare trattandosi di eutanasia attiva è competente il medico nell’ambito del quale si pone quel conflitto di doveri tra il giuramento di Ippocrate e l’obbligo comunque di alleviare le sofferenze, mentre dal comunicato stampa della Corte costituzionale italiana sembrerebbe che non sia appannaggio esclusivamente del personale sanitario l’aiuto al suicidio, pur se non può non rilevarsi come proprio la Corte costituzionale, con riferimento alle legge 219/2017, richiede la verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del SSN, sentito il parere del Comitato etico territorialmente competente. Ciò significa che in sintesi nonostante le apparenze anche secondo l’ottica della Corte costituzionale pare emergere come l’aiuto al suicidio per risultare non punibile, deve essere effettuato in un ambito sanitario, addirittura con il parere positivo del Comitato etico territorialmente competente, per cui sembra proprio valere anche nel caso italiano la tesi del conflitto di doveri peraltro sostenuta dallo stesso Francesco Viganò attualmente giudice della Corte costituzionale.

Tale tesi tuttavia non appare escludere, proprio come si evince dal caso concreto sottoposto all’attenzione della Corte costituzionale, che possa anche essere un cittadino comune e dunque non appartenente all’ambito sanitario, ad aiutare il soggetto determinatosi già al suicidio.

A nostro avviso anche quest’ultima ipotesi, per evidenti questioni attinenti alla uguaglianza-ragionevolezza, non possono non rientrare nell’alveo della non punibilità, sia perché siamo sempre di fronte ai requisiti indicati dalla Corte che fanno propendere per la sussistenza dell’art. 54 c.p., almeno a nostro giudizio, sia perché, anche diversamente opinando, i requisiti di liceità o di non punibilità stabiliti dalla Corte costituzionale devono valere sia per il personale sanitario che eventualmente anche per coloro che, pur non appartenendo a tale ambito, comunque contribuiscono con il loro ausilio al suicidio della persona già autonomamente convinta di ciò. Va da sé, però, che proprio dal “dispositivo” della Corte costituzionale emerge comunque una sorta di “cordone sanitario”, che non solo appare quello più adatto a preparare il terreno per l’aiuto clinico al suicidio, come infatti avviene in Svizzera ed anche in Germania, ma anche perché detto cordone sanitario possiede pure il fondamentale compito di verifica della sussistenza delle modalità di esecuzione, che devono avvenire proprio da parte di una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale.

Sussiste tuttavia un profilo che, almeno a nostro giudizio, non convince del tutto ed è il riferimento al requisito del paziente “tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale”.

Orbene, se si comprende che con tale riferimento la Corte costituzionale si mostra evidentemente condizionata dalle caratteristiche del caso concreto sottoposto alla sua attenzione, a livello giuridico, tuttavia, questo ulteriore elemento -che infatti non ritroviamo né nella legge olandese, né in quella belga, né in quella dell’Oregon, né, tanto meno in quella dell’Australia del Nord- ci sembra francamente dar luogo ad un requisito che restringe irragionevolmente la non punibilità dell’aiuto al suicidio, perché fa rientrare nel penalmente rilevante l’aiuto fornito ad un paziente comunque affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psichiche che reputa intollerabili, ma ancora pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. In altri termini non si riesce davvero a comprendere perché la non punibilità sia per forza legata anche all’essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, giacché, ad esempio, se si tratta di un soggetto con un tumore al quarto stadio, cioè praticamente inoperabile e quindi che soffre fisicamente o psicologicamente in modo intollerabile e che mostra la volontà libera e consapevole di essere aiutato al suicidio, non possa ritenersi non punibile l’aiuto fornito anche a tale ultimo tipo di malato, pur se non è ancora tenuto in vita e forse potrebbe anche non esserlo mai, dato il tipo di patologia di cui soffre, da trattamenti di sostegno vitale. Fra l’altro un requisito ulteriore di tal fatta può anche, non solo in teoria, ridurre lo spazio di libertà posseduto dal paziente in ordine alla decisione consapevole di suicidarsi, per cui appare in definitiva un elemento ulteriore di carattere controproducente. Nonostante detto rilievo critico, resta indubitabile il notevole passo avanti effettuato dalla Corte costituzionale sul tema del fine vita, allineando così anche la legislazione del nostro Paese alle legislazioni più avanzate in materia, come ad esempio quella svizzera e quella tedesca, pur se va rilevato che di recente anche in tali ordinamenti è stato introdotto il delitto di istigazione o aiuto al suicidio che tuttavia risulta penalmente rilevante e dunque punibile solo laddove venga effettuato a scopo di lucro. In ogni caso bisognerà attendere la motivazione della sentenza della Corte costituzionale per poter fornire un giudizio più completo su di una pronuncia che comunque, a differenza di quella relativa al caso Tarantini, si mostra molto più in linea con il principio di laicità dello Stato, nonostante recenti ed importanti “pressioni” in senso contrario delle più alte autorità ecclesiastiche.

[1] Cfr. Ufficio Stampa della Corte costituzionale, comunicato del 25 settembre 2019: in attesa del Parlamento la Consulta si pronuncia sul fine vita.

[2] In argomento, in particolare nella letteratura tedesca, Hassemer, Prozedurale Rechfertigungen, in Festcherift für G. Mahrenholz, 1994, 731.

[3] Sia di nuovo consentito il rinvio a Manna, Art. 579-580, etc. cit., spec. 58 ss., per quanto riguarda non solo la legge olandese e la legge belga ma anche leggi extraeuropee come ad esempio quella dell’Oregon del 1994 e quella del 1995 del territorio del Nord dell’Australia.

[4] Per tale prospettiva, cfr., in particolare, Viganò, Stato di necessità e conflitto di doveri. Contributo alla teoria delle cause di giustificazione e delle scusanti, Milano, 2000; nonché già Baratta, Antinomie giuridiche e conflitti di coscienza. Contributo alla filosofia e alla critica del diritto penale, Milano, 1963.

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