Continuazione tra i reati vs. art.131 bis c.p.

Di Andrea Baiguera Altieri -
  1. La questione di Diritto rimessa a Cass., SS.UU., 27 gennaio 2022, n. 18891.

Ex comma 1 Art. 618 C.p.p., la questione di Diritto sottoposta a Cass., SS.UU., 27 gennaio 2022, n. 18891 è la seguente: “se la continuazione tra i reati sia di per sé sola ostativa all’applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto [ex Art. 131 bis CP], ovvero lo sia solo in presenza di determinate condizioni”

  1. Il primo orientamento giurisprudenziale.

Secondo il parere di Cass., sez. pen. III, 28 maggio 2015, n. 29897, “è esclusa la compatibilità tra la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto [ex Art. 131 bis c.p.] e la continuazione, poiché, ogniqualvolta si sia in presenza di un reato continuato [seriale, ndr] non può farsi luogo all’applicazione dell’istituto previsto dall’Art. 131 bis c.p.”. Analogo è pure il caso di molti Precedenti di legittimità, tra cui Cass., sez. pen. III, 4 ottobre 2019, n. 50002, Cass., sez. pen. VI, 20 marzo 2019, n. 18192, nonché Cass., sez. pen. IV, 25 settembre 2018, n. 44896. La ratio di tale primo orientamento è ben espressa in Cass., sez. pen. II, 16 maggio 2018, n. 41453, a parere della quale “il vincolo della continuazione […] appare espressione di un comportamento abituale per la reiterazione di condotte penalmente rilevanti, ossia di una forma di devianza non occasionale, di per sé ostativa al riconoscimento della non punibilità, in quanto priva di quel carattere di trascurabile offensività che, di converso, deve caratterizzare il fatto, ove lo si voglia sussumere nel paradigma normativo di cui all’Art. 131 bis c.p.”. Parimenti, anche la Cass., sez. pen. III, 29 marzo 2018, n. 19159 precisa che “quando il fatto presenta una dimensione plurima, nessuna rilevanza può assumere, in concreto, la particolare tenuità dei singoli segmenti in cui esso appare articolato, sicché nessuna incidenza si può attribuire [ai fini dell’applicazione dell’Art. 131 bis CP] al fatto che alcuni [dei reati plurimi] siano avvinti, o meno, da un unico disegno criminoso, neanche nell’ipotesi in cui, singolarmente considerati, essi risultino connotati da un minimo disvalore penale“. Anche Cass., sez. pen. III, 28 maggio 2015, n. 29897 sottolinea che, nei Lavori Preparatori all’Art. 131 bis c.p., sotto il profilo semantico, si rimarca che “i reati della stessa indole” o i “reati plurimi, abituali e reiterati” sono da subito esclusi dal campo precettivo dell’Art. 131 bis c.p., in tanto in quanto la continuazione dei reati entro un breve lasso di tempo è sintomo indubitabile di quella “abitualità del comportamento” che, ex comma 4 Art. 131 bis c.p., impedisce l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto (“il comportamento è abituale nel caso in cui […] [il soggetto agente] abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate”, comma 4 Art. 131 bis c.p.). La serialità dei delitti è incompatibile con il beneficio abolizionista di cui all’Art. 131 bis c.p. anche secondo il parere di Cass., sez. pen. II, 2 gennaio 2017, n. 1, a parere della quale “osta alla concessione del beneficio la reiterazione, ovvero una circostanza squisitamente oggettiva, riconoscibile non solo nell’ipotesi della recidiva, ma anche nei casi in cui si proceda: a) per più reati della stessa indole, anche se gli stessi, isolatamente considerati, siano di particolare tenuità; b) per un reato a struttura abituale. Affinché sia riconosciuto l’attributo della non occasionalità, i comportamenti contestati non solo non devono replicare condotte già oggetto di accertamento giudiziale, ma non devono neanche avere una struttura intrinsecamente abituale o inserirsi in una progressione criminosa”. La serialità e l’abitualità impediscono la precettività dell’ art. 131 bis c.p. anche in Cass., sez. pen. III, 4 ottobre 2019, n. 50002, dal momento che “in caso di ripetuta violazione della stessa norma incriminatrice, o di diverse disposizioni penali sorrette dalla medesima ratio puniendi, il fatto dev’essere considerato, complessivamente, nella sua dimensione plurima, il che lo connota di una gravità tale da non poter essere considerato di particolare tenuità”. Analogo è pure il parere di Cass., sez. pen. III, 4 aprile 2017, n. 776, Cass., sez. pen. V, 14 novembre 2016, e di Cass., sez. pen. V, 10 febbraio 2016, n. 26813. Da segnalare è pure Cass., sez. pen. VI, 20 marzo 2019, n. 18192, a parere della quale il riconoscimento della continuazione è sintomo di un dolo meno intenso e, quindi, reca ad un trattamento sanzionatorio finale più mite; ciononostante, la serialità e l’abitualità provocano, comunque, la non applicabilità dell’Art. 131 bis c.p., che presuppone, per essere precettivo, la rigorosa sussistenza di un “comportamento non abituale”. Del pari, Cass., sez. pen. IV, 25 settembre 2018, n. 44896 sottolinea che, nell’Art. 81 c.p., si riconosce un dolo meno intenso quando la serie di reati è cronologicamente ravvicinata, ma rimane fermo che il beneficio di cui all’Art. 131 bis c.p. resta inapplicabile, a prescindere da qualsivoglia altra attenuazione ipotizzabile. Infatti, l’Art. 131 bis c.p. presuppone la non continuità abituale o, comunque, reiterata, dei delitti, anche se attenuati alla luce di diverse norme. Questo è pure il parere di Cass., sez. pen. III, 29 marzo 2018, n. 19159, Cass., sez. pen. VI, 13 dicembre 2017, n. 3353 nonché di Cass., sez. pen. I, 24 ottobre 2017, n. 55450. Senza mezzi termini, anche Cass., sez. pen. VI, 20 marzo 2019, n. 18192 dichiara che “il reato continuato configura un’ipotesi di comportamento abituale […] preclusivo ai fini della configurabilità dell’istituto previsto dall’Art. 131 bis c.p.”. Tale è pure l’orientamento di Cass., sez. pen. IV, 25 settembre 2018, n. 44896, Cass., sez. pen. II, 16 maggio 2018, n. 41453 nonché di Cass., sez. pen. III, 29 marzo 2018, n. 19159.

  1. Il secondo orientamento giurisprudenziale.

Ad avviso di un secondo filone ermeneutico, l’Art. 131 bis c.p. è compatibile con il reato continuato.

Infatti, a parere di Cass., sez. pen. IV, 15 settembre 2021, n. 36534, “non vi può essere un’identificazione tout court tra continuazione e abitualità del reato”, specialmente in assenza di recidiva nel lungo periodo. Del pari, Cass., sez. pen. III, 13 luglio 2021, n. 35630 distingue anch’essa tra la ripetizione del reato nel breve termine e la recidiva manifestata dopo molti mesi o anni, nel senso che “la condizione ostativa [all’applicazione dell’Art. 131 bis c.p.] costituita dalla commissione di più reati della stessa indole [nel lungo periodo] non appare per nulla sovrapponibile all’ipotesi del reato continuato [nel breve periodo], bensì risponde all’intento di escludere dall’ambito della nuova causa di non punibilità [ex Art. 131 bis c.p.] comportamenti [manifestati nel corso di anni] espressivi di una sorta di tendenza o inclinazione al crimine”. Dunque, la “abitualità” di cui all’Art. 131 bis c.p. si riferisce a recidive distribuite nel lungo termine, mentre la serialità continuata ex Art. 81 c.p. va riferita ad un lasso di tempo assai corto. Similmente, Cass., sez. pen. V, 13 luglio 2020, n. 30434 ribadisce che “per quel che attiene [nell’ Art. 131 bis c.p.] alla condizione ostativa costituita da reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate, essa, chiaramente, riguarda i reati che strutturalmente richiedono che l’agente ponga in essere condotte abituali [ma] reiterate nel tempo”. Dunque, anche Cass., sez. pen. V, 13 luglio 2020, n. 30435 attribuisce alla “abitualità” ex Art. 131 bis c.p. una prospettiva temporale non immediata, mentre il vincolo della continuazione tra più reati va riferito ad un periodo di tempo più breve e ristretto, al punto da lasciar intravvedere, talvolta, un unico piano criminoso. All’opposto, le “condotte plurime, abituali e reiterate” ex comma 4 Art. 131 bis c.p. si proiettano in una prospettiva cronologica dilatata nel corso della carriera criminale del reo. Questo “lungo periodo” connotante il comma 4 Art. 131 bis c.p., in opposizione al “breve periodo” tipico del reato continuato, è ribadito pure in Cass., sez. pen. II, 27 gennaio 2020, n. 11591, Cass., sez. pen. IV, 13 novembre 2019, n. 10111 nonché in Cass., sez. pen. II, 10 settembre 2019, n. 42579. L’importanza decisiva di una vera e propria “carriera criminale” non limitata a pochi e brevi episodi è rimarcata pure da Cass., sez. pen. III, 20 novembre 2018, n. 16502, nella quale si sottolinea che “la volontà del Legislatore [nei Lavori Preparatori] è quella di escludere dall’area di applicazione della causa di esclusione della punibilità [ex Art. 131 bis c.p.] solo quei comportamenti che costituiscono [con il passare degli anni] l’espressione di una serialità dell’attività criminosa, ossia di un’abitudine al crimine [non solo nel breve termine]”. Pertanto, la “carriera criminale” non coincide con una serie di reati ripetuti nel corso di poche ore o di pochi giorni. È necessaria una progressione delinquenziale caratterialmente solida e non estemporanea. Infatti, pure Cass., sez. pen. IV, 11 dicembre 2018, n. 4649 afferma che “la recidiva [stabile e cronica] non sempre coincide con il reato continuato, il quale è un istituto, di per sé, non necessariamente sintomatico dell’inclinazione al crimine” Siffatta distinzione tra reato continuato, nel breve periodo, e abitualità, nel lungo periodo, è ribadita pure da Cass., sez. pen. IV, 25 settembre 2018, n. 47772, poiché “anche l’autore del reato continuato può [beneficiare dell’art. 131 bis c.p.], dovendo il Giudice verificare, in concreto, se il fatto, nella sua unitarietà, avuto riguardo alla natura degli illeciti unificati, alle modalità esecutive della condotta, all’intensità dell’elemento psicologico, al numero delle disposizioni violate ed agli interessi tutelati, sia meritevole, o meno, di un apprezzamento di speciale tenuità [ex Art. 131 bis c.p.]“. Parimenti, pure Cass., sez. pen. IV, 13 novembre 2019, n. 10111 distingue tra un piano criminoso continuato per un breve tempo, da un lato, e, dal alto opposto, una carriera criminale stabilmente duratura, ovverosia “l’antinomia tra il reato continuato e la particolare tenuità del fatto è rilevabile solo nel caso in cui le violazioni, espressione di un medesimo disegno criminoso, siano in numero tale da costituire […] la dimostrazione di una serialità nel delinquere, ovvero di una progressione criminosa […]; tali da porre in evidenza un insanabile contrasto con il giudizio di particolare tenuità dell’offesa […] ovvero, in altre parole, ove la reiterazione sia espressiva di una chiara tendenza o inclinazione al crimine“ Dunque, Cass., sez. pen. IV, 13 novembre 2019, n. 10111 esorta il Magistrato del merito a distinguere tra una continuazione dei reati meramente episodica e, viceversa, un’abitudinarietà nel delinquere ben consolidata nel corso dei mesi o degli anni.

Il secondo orientamento giurisprudenziale è sostenuto pure da Cass., sez. pen. III, 20 novembre 2018, n. 16502, a parere della quale “la radicale esclusione dell’applicabilità [dell’ art. 131 bis c.p.] al reato continuato appare distonica rispetto alla sistematica sanzionatoria di cui è espressione l’Art. 81 c.p., poiché viene a pregiudicare l’imputato che, pur beneficiando del regime di favore di cui al menzionato Art. 81 c.p., non può poi beneficiare della disposizione di cui all’Art. 131 bis c.p.”. In maniera similare, Cass., sez. pen. V, 31 maggio 2017, n. 35590 sottolinea che, ex Art. 81 c.p., un reato continuato, ma limitato ad una sola persona offesa, ad un solo momento e ad un solo luogo, non è necessariamente sintomatico della “abitualità” descritta al comma 4 Art. 131 bis c.p.. Pure Cass., sez. pen. II, 7 febbraio 2018, n. 9495 fa notare che la “tendenza [professionale] a delinquere” dipende dai precedenti penali del reo, dalla gravità dei reati commessi e dalla intera storia personale di delinquenza dell’imputato, il quale non va considerato “delinquente abituale” solo per aver recato innanzi un piano criminoso cronologicamente limitato e non trasformatosi, poi, in una vera e propria “propensione abituale” al crimine. In taluni Precedenti, si afferma che la “continuazione sincronica [ed episodica]“ ex Art. 81c.p. non coincide con la “continuazione diacronica [ed ostinata]” ex comma 4 Art. 131 bis c.p.. Ciò significa che molto dipende da un’eventuale proiezione “di lungo periodo” delle attività delittuose. A questo proposito, Cass., sez. pen. V, 13 luglio 2020, n. 30434 asserisce che la continuazione “sincronica” è sintomo di estemporaneità, e non di un’inclinazione al crimine incompatibile con il regime sanzionatorio attenuato ex Art. 131 bis c.p.. Tale è pure il parere di Cass., sez. pen. IV, 13 novembre 2019, n. 10111, Cass., sez. pen. IV, 25 settembre 2018, n. 47772 nonché di Cass., sez. pen. V, 26 marzo 2018, n. 32626. Più delitti “sincronicamente” uniti si esauriscono nel breve termine. All’opposto, la “abitualità” ex comma 4 Art. 131 bis c.p. si abbina ad una serie di reati “diacronicamente” espressivi di una personalità pervicacemente e continuativamente deviante. Di stampo marcatamente filo-riduzionista è, poi, Cass., sez. pen. II, 29 marzo 2017, n. 19932, secondo cui “l’eventuale esclusione del reato continuato dall’ambito di operatività dell’Art. 131 bis c.p. finirebbe per frustrare le finalità di deflazione processuale sottese all’introduzione dell’istituto, riducendone in modo consistente l’ambito di operatività”. Su un’analoga posizione si pongono pure Cass., sez. pen. II, 6 giugno 2018, n. 41011 nonché Cass., sez. pen. II, 10 settembre 2019, n. 42579.

  1. La vera ratio dell’ art. 131 bis c.p.

La ratio filo-riduzionista dell’Art. 131 bis c.p. può essere colta già nella rubrica del DLVO 28/2015, intitolata “Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell’Art. 1 comma 1 lett. m) L. 67/2014”. A parere di Corte Costituzionale 120/2019, una delle basi fondamentale dell’Art. 131 bis c.p. consta nel principio di proporzionalità della sanzione penale, in tanto in quanto l’Art. 131 bis c.p. si sostanzia, in definitiva, “in una generale causa di esclusione della punibilità, la quale si raccorda con l’altrettanto generale presupposto del [grado di] offensività della condotta, requisito indispensabile per la [proporzionata] sanzionabilità penale di qualsiasi condotta in violazione di legge”. Il problema autentico, del resto, non è la “offensività” in sé, bensì il “grado di offensività”, poiché non tutti i reati recano la medesima gravità. Anzi, talvolta, l’anti-socialità e l’anti-giuridicità del delitto è minimamente bagatellare. In effetti, la Corte Costituzionale con la pronuncia 120/2019 ha sottolineato che l’Art. 131 bis c.p. “individua una soglia massima di gravità, correlata ad una pena edittale non superiore, nel massimo, a cinque anni di reclusione, stabilendo, per i titoli di reato che non eccedono tale soglia, una linea di demarcazione trasversale, che esclude la punibilità delle condotte aventi, in concreto, un tasso di offensività marcatamente ridotto”. La Corte Costituzionale con pronuncia 120/2019 è consapevole che, nella Prassi quotidiana, va temperata la ratio dell’obbligatorietà dell’azione penale ex Art. 112 Cost., in tanto in quanto il Pubblico Ministero non è un giustiziere implacabile ed è pur sempre tenuto a valutare il “grado” dell’anti-socialità e dell’anti-giuridicità di ciascuna infrazione penale, soprattutto con afferenza ai minorenni ed agli infrattori socialmente già deboli o disagiati. Pertanto, come giustamente notato da Corte Costituzionale 30/2021, tale “grado” di pericolosità socio-giuridica del reato implica, com’è ragionevole, che, ex comma 1 Art. 131 bis c.p., “la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi del comma 1 Art. 133 c.p., l’offesa è di particolare tenuità ed il comportamento non risulta abituale”. Viceversa, senza l’Art. 131 bis c.p., un’applicazione intransigente e formalistica dell’ Art. 112 Cost. finirebbe per creare un Ordinamento neo-retribuzionista, fondato su di un fallimentare e dittatoriale ricorso ossessivo alla pena carceraria. L’Art. 131 bis c.p. ha reso semi-facoltativa l’azione penale non per un capriccio eccentrico del Legislatore, bensì per evitare un rigorismo formalista ispirato alla tristemente famosa ed inutile “tolleranza zero” del Sistema penale statunitense. Ogni fattispecie infrattiva, se bagatellare, va calata nel singolo contesto concreto e va valutata nell’oggettività altrettanto concreta del danno o del pericolo cagionato. Nel caso specifico dell’Art. 131 bis c.p., la “graduazione” della gravità dipende dai seguenti tre criteri codicistici: la modalità della condotta, l’esiguità, o meno, del danno o del pericolo, e la non abitualità, o meno, del comportamento. L’importante è contestualizzare l’infrazione e non ipostatizzarla, in maniera apodittica, come si suol fare negli Stati di Polizia ove l’azione penale viene a coprire e a giuridificare implacabilmente ogni atto della vita, anche privata, dei consociati. In buona sostanza, anche a parere di Cass., SS.UU., 27 gennaio 2022, n. 18891, “la ratio del nuovo istituto [ex Art. 131 bis c.p.] va individuata nell’intento del Legislatore di ampliare l’ambito della non sanzionabilità di determinate condotte astrattamente integranti gli estremi di un reato, perseguendo, in tal modo, finalità strettamente connesse ai principi di proporzione e di extrema ratio della risposta punitiva [carceraria], con la realizzazione di effetti positivi anche sul piano deflattivo, attraverso la responsabilizzazione del Giudice nella sua attività di valutazione, in concreto, della fattispecie sottoposta alla sua cognizione”. In effetti, anche a parere di chi redige, non dev’esservi alcun diritto di cittadinanza, nel Diritto Penale, per i cc.dd. “reati a pericolosità astratta”, i quali recano un livello infimo o nullo tanto di anti-socialità quanto di anti-giuridicità. Similmente, Cass., SS.UU., 25 febbraio 2016, n. 13681 asserisce, in maniera filo-riduzionistica, che “lo scopo primario [dell’Art. 131 bis c.p.] è quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non dimostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del Processo“ Ciò è vero, a parere di chi scrive, soprattutto nei confronti di infrazioni bagatellari commesse dal minorenne, dal giovane adulto e dal maggiorenne incensurato. Del resto, sempre Cass., SS:UU., 25 febbraio 2016, n. 13681 asserisce che “il fatto particolarmente lieve, cui fa riferimento l’Art. 131 bis c.p., è, comunque, un fatto offensivo che costituisce reato [ma] che il Legislatore preferisce non punire, sia per affermare la natura di extrema ratio della pena [detentiva] […] sia per contenere il gravoso carico di contenzioso penale gravante sulla Giurisdizione”. Trattasi di mirabili parole che ricordano da vicino le posizioni abolizionistiche di Nils Christie. A parere di chi commenta, l’Art. 131 bis c.p. è riuscito a distinguere, all’interno del Diritto Penale, tra “opportunità“ e stretta “legalità“; quest’ultima può recare anche ad una distorta “dittatorialità” della Giuspenalistica, poiché l’azione penale è uno strumento socio-filattico e non un dogma intangibile. Anche le sentenze della Corte Costituzionale 30/2021 e 156/2020, nonché della Corte Costituzionale Ord. 279/2017 hanno, in maniera peraltro ardita, proposto l’estensione della precettività dell’Art. 131 bis c.p. anche ai reati con un minimo edittale pari a quindici giorni di reclusione. L’essenziale, a parere della Consulta, è la “natura bagatellare” dell’illecito. Pure Cass., SS.UU., 25 febbraio 2016, n. 13682 ha accolto con entusiasmo l’Art. 131 bis c.p., giacché, in tale norma riduzionistica, il Legislatore ha compiuto una [lodevole] graduazione qualitativa [del reato] basata sulla natura e sull’entità della pena, e vi ha aggiunto un elemento di impronta personale, relativo all’abitualità o meno del comportamento. [Dunque, grazie all’Art. 131 bis c.p.], emerge che l’esiguità del disvalore è frutto di una valutazione congiunta [ed elastica] di tutti gli indicatori afferenti alla condotta, al danno, [al pericolo] ed alla colpevolezza”. Dopo la Riforma del 2015, l’Art. 131 bis c.p. ha introdotto una visione maggiormente flessibile dell’esercizio dell’ azione penale ex Art. 112 Cost.  Deve prevalere una visione concreta e non dogmatica dell’azione penale, soprattutto quando è inutile ed ipertrofico attivare il Diritto Penale e la Procedura Penale a fronte di delitti “astrattamente pericolosi”, dunque né anti-sociali né anti-giuridici. La Giuspenalistica non è una formula matematica che si attiva senza una preventiva valutazione di tutti i cc.dd. “costi”, materiali e non, del Procedimento Penale.

  1. La posizione di Cass., SS.UU., 27 gennaio 2022, n. 18891.

La Cass., SS.UU., 27 gennaio 2022, n. 18891 ha reputato di condividere il secondo, e più recente, orientamento giurisprudenziale, a parere del quale l’Art. 131 bis c.p. è applicabile ai reati continuati in maniera seriale, a condizione che tale continuazione reiterata non abbia dato luogo, nel lungo periodo, ad una “progressione criminosa” giunta al punto di configurare una ben consolidata “carriera criminale”.

Secondo la Cass., SS.UU., 27 gennaio 2022, n. 18891, il primo orientamento sbaglia la nozione di “abitualità”, che, secondo tale primo filone esegetico, indica una condotta infrattiva costante, reiterata, sincronica e, soprattutto, sintomatica di una spiccata “tendenza abituale nel delinquere”. Trattasi di un’interpretazione scorretta del lemma “abitualità” all’interno dell’Art. 131 bis c.p. La “abitualità” di cui parlano il comma 1 e, soprattutto, il comma 4 Art. 131 bis c.p. non consta in una ripetizione “sincronica” dell’atto delinquenziale, bensì in una reiterazione “diacronica” proiettata verso una prospettiva di lungo periodo e non limitata alla serialità di un solo, breve, contingente piano criminoso. Nell’Art. 131 bis c.p., il comportamento infrattivo è “abituale” soltanto se, nel corso dei mesi e degli anni, esso reca a manifestare un’ostinata, costante, quasi professionale inclinazione a commettere quel reato o quei reati assai simili. Non è, pertanto, “abituale” il comportamento delinquenziale che si limita alla commissione reiterata di delitti, ma limitatamente ad un progetto criminoso circoscritto nel tempo. Viceversa, la “abitualità” sussiste qualora l’infrazione divenga la ragione di una vita intera, tanto da recare alla commissione di più di un piano criminoso connotato dalla reiterazione di delitti ormai consolidatisi come “abituali”. La “abitualità”, nel comma 1 e nel comma 4 Art. 131 bis c.p. , è tale se entra nella prospettiva di un periodo di vita “non breve”, tanto da recare il Magistrato a poter parlare di una vera e propria “tendenza a delinquere” stabilmente assestata. In effetti, a tal proposito, Cass., SS.UU., 27 gennaio 2022, n. 18891 precisa che “la nozione di abitualità [nell’ Art. 131 bis c.p.] si riferisce ad una qualità che progressivamente si delinea e consolida nel tempo, in conseguenza della realizzazione di plurime condotte omogenee, ma che non si esaurisce nella manifestazione esterna del solo dato obbiettivo di quella ripetizione [nel breve termine]. L’acquisizione individuale di una consuetudine [a delinquere] costituisce il risultato di un costume comportamentale, ossia di un’abitudine intesa, secondo il senso comune del vocabolo, come disposizione acquisita con il costante e periodico [rectius: perenne] ripetersi di determinati atti, e non può essere, pertanto, sovrapposta ad una [momentanea] situazione connotata dalla mera reiterazione di azioni”. Tale “consuetudine [nel delinquere]” e tale “costume comportamentale” sono incompatibili con la precettività dell’Art. 131 bis c.p. soltanto qualora sfocino in quella che la Criminologia definisce “carriera criminale” o “abitudinarietà/professionalità nel delinquere”. Siffatta prospettiva, non di breve periodo, è confermata pure nei Lavori Preparatori del DLVO 28/2015, in cui si precisa che “la presenza di un solo precedente giudiziario non è, di per sé sola, ostativa al riconoscimento della particolare tenuità del fatto, in presenza, ovviamente, anche degli altri presupposti. L’Art. 131 bis c.p., dunque, non presuppone affatto che il reo sia un autore primario od occasionale [quindi incensurato] […] L’Art. 131 bis c.p. non avrebbe alcuna ragion d’essere se, ad ostacolarne l’operatività, fosse sufficiente opporgli un solo precedente”. Quindi, come si può notare, la non incensuratezza non ostacola la piena precettività del beneficio ex Art. 131 bis c.p. All’opposto, non gode della scriminante in parola il pregiudicato “dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza” ex cpv. 1 comma 4 Art. 131 bis c.p. Ciò che veramente conta, anche alla luce dei Lavori Preparatori all’Art. 131 bis c.p., è che i precedenti penali non configurino, per qualità, quantità e cronicità, un’abitudine “diacronica” di commettere reati, magari della medesima indole. Viceversa, una serialità delittuosa limitata sotto il profilo temporale non costituisce causa ostativa all’operatività dell’Art. 131 bis c.p., dal quale non è escluso chi ha recato innanzi un “disegno criminoso” sincronico e, dunque, reiterato soltanto per un lasso di tempo assai corto. Di più, il pregiudicato non sempre reca in sé la “abitualità” stabile di cui al comma 4 Art. 131 bis c.p., poiché molto dipende dalla “concatenazione” sincronica, dunque occasionale, oppure diacronica, quindi abituale, dei vari reati commessi. Questo particolare rilievo della “abitualità cronica [e diacronica, dunque prolungata]” è ben espresso nelle Motivazioni di Cass., SS.UU., 27 gennaio 2022, n. 18891, la quale asserisce che “[ai fini dell’applicabilità dell’Art. 131 bis CP] rilevano solo quelle reiterazioni di comportamenti che esprimono una particolare inclinazione a delinquere dell’agente, idonea ad evidenziarne un verosimile rischio di persistenza o di ricaduta nel reato […]. Non sono fondate, quindi, le argomentazioni volte a ritenere di per sé preclusa la concreta operatività del nuovo istituto [di cui all’Art. 131 bis CP] in presenza di qualsivoglia reiterazione [sincronica] di comportamenti penalmente rilevanti”.

  1. Il “reato continuato” non è necessariamente un “reato abituale”.

A differenza di quanto asserito dal suddetto primo orientamento giurisprudenziale, la continuità del reato non coincide con la sua “abitualità”. Né, tantomeno, i reati continuati possiedono sempre tutti la “stessa indole”.

Anzitutto, va ribadito che il reato continuato è incompatibile con l’Art. 131 bis c.p. soltanto se tale serialità si protrae nel lungo periodo, sino al punto di configurare, come specificato da Cass., SS.UU., 27 gennaio 2022, n. 18891, “una serialità [professionale e duratura] ed una consolidata abitudine a violare le leggi”. Il primo orientamento giurisprudenziale, dunque, sbaglia nel momento in cui confonde la reiterazione sincronica di un illecito con la reiterazione diacronica, la quale è espressione di una costante, prolungata, ostinata “abitudinarietà” alla delinquenza. Del pari, pure Cass., sez. pen. I, 27 novembre 1996, n. 6248, diciannove anni prima dell’entrata in vigore dell’Art. 131 bis c.p., afferma che la “continuazione” tra reati non è sinonimo di “carriera criminale”, poiché, se la serialità è limitata ad un singolo e breve episodio, “il soggetto agente ha superato [solo] in un’unica occasione le controspinte che l’Ordinamento predispone per contrastare l’interesse a delinquere”. Infatti, un unico piano criminoso sincronico non reca ad una c.d. “abitudine nel delinquere”. Altrettanto pertinentemente, Cass., sez. pen. I, 8 gennaio 2016, n. 15955 ha distinto tra la “continuazione” ed un “programma [abituale] di vita delinquenziale, nel senso che “una serie [sincronica, ma episodica] di condotte criminose non si identifica con un programma [abituale] di vita delinquenziale del reo, poiché [una carriera criminale], viceversa, esprime e rivela una generale propensione alla devianza, che si concretizza, di volta in volta [e per un lungo periodo], in relazione alle varie occasioni ed opportunità esistenziali”. Dunque, la continuazione tra reati si risolve nel breve termine e, nella maggior parte dei casi, non denota una “particolare inclinazione alla delinquenza”. Analogamente, Cass., sez. pen. I, 5 luglio 2018, n. 36036 ha precisato che “l’abitualità [escludente la funzionalità dell’Art. 131 bis c.p.] presuppone un impulso criminoso reiterato nel tempo [diacronico], che è incompatibile con l’unitaria [e breve] deliberazione criminosa che caratterizza l’ipotesi del reato continuato”. Similmente, Cass., sez. pen. IV, 26 marzo 1993, n. 8897, ventidue anni prima dell’entrata in vigore dell’Art. 131 bis c.p., ha rimarcato che “la volontà di commettere più reati per scelta [diacronica] delinquenziale, dovuta alla generica deliberazione di persistere [per un lungo periodo] nelle condotte delittuose, non ha nulla a che vedere con l’unicità del disegno criminoso tra [solo] due o più reati […]. La continuazione non può essere confusa con l’abitudine [stabile] a commettere un determinato tipo di reato”. Pure, negli Anni Duemila, Cass., SS.UU., 27 gennaio 2022, n. 18891 sottolinea che “è necessario distinguere l’identità del disegno criminoso da altre ipotesi di collegamento tra una pluralità di reati, che, come l’abitualità o la professionalità criminosa, giustificano, all’opposto, un giudizio di maggior gravità della condotta dell’agente [e la conseguente esclusione dell’applicabilità dell’Art. 131 bis c.p.]”. Sempre Cass., SS.UU., 27 gennaio 2022, n. 18891 parla di “molteplici atti cumulativamente considerati”, ma questa “molteplicità” coincide con la “abitualità” soltanto se essa è proiettata e consumata nel lungo termine. Viceversa, qualora la “molteplicità degli atti criminosi” sia collegata ad un solo, breve disegno criminoso, la reiterazione è meno grave, non è indice di alcuna “inclinazione al crimine” e, per conseguenza, non esclude la cogenza eventuale dell’Art. 131 bis c.p.. Anche in Dottrina, la continuazione non ha nulla a che fare con quella che viene chiamata “consuetudo delinquendi”, ovvero “abitualità”, detta pure, nel Diritto Penitenziario, “proclività al delitto”. Detto con altri lemmi, un conto è la “finalità programmatica unitaria” nel reato continuato; un altro conto è una pluralità di atti criminosi “separati” che denotano una professionalità delinquenziale reiterata nel corso dei mesi o degli anni. L’unitarietà breve e sincronica del delitto continuato è ben sintetizzata anche in Cass., SS.UU., 18 maggio 2017, n. 28659, a parere della quale “il medesimo disegno criminoso viene a rappresentare un’unica spinta in grado di legare e avvincere a sé un insieme di reati, elidendone la somma complessiva del disvalore, nell’ambito della preventiva deliberazione di un programma orientato, sin dal momento della commissione del primo reato, a conseguire un determinato fine [ma nel breve periodo]”.

Scarica il documento in PDF Continuazione tra i reati vs. art. 131 bis c.p

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