BREXIT: risvolti pratici
Il termine Brexit indica genericamente l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea sancita dall’ ormai ben noto referendum del 23 giugno 2016. Il fatto ha determinato una chiusura definitiva tra l’isola di Sua Maestà e l’UE, un’istituzione mai troppo amata oltre Manica.
Il referendum consultivo, che chiamava a votare i cittadini inglesi sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, ha visto la vittoria del “Leave” al quale si contrapponeva quello del “Remain”.
Il popolo britannico, chiamato alle urne per esprimersi sulla permanenza del loro Paese nell’Unione Europea, ha dunque sentenziato: il Regno Unito lascia l’UE raccogliendo il 51,9% delle preferenze.
In Inghilterra il dibattito è stato molto acceso e ha visto il coinvolgimento di diversi politici, istituzioni internazionali e nazionali, nonché agenzie di rating e case d’affari.
Il Fondo Monetario Internazionale, le agenzie di rating, il Presidente degli USA, Obama, ed una lunga lista di personaggi ed organizzazioni, compresa la Bank of England, si erano schierati contro l’uscita del Regno Unito dall’UE, ammonendo dei possibili rischi. Boris Johnson, ex-sindaco di Londra, è stato invece uno dei più accesi sostenitori della Brexit, usando talvolta parole di fuoco contro l’Unione Europea e spiegando sui giornali il perché della sua avversione all’Europa unita.
Dopo la vittoria della Brexit si è quindi scatenato il dibattito sulle modalità di uscita del Regno Unito dall’UE e tutto ha girato e gira intorno al poco noto Articolo 50 del Trattato di Lisbona.
Per comprendere il futuro del Regno Unito deve essere analizzato, dunque, l’Articolo 50, che regola le procedure di uscita di uno Stato membro dall’UE e recita: “Ogni Stato membro può decidere di recedere dall’Unione conformemente alle proprie norme costituzionali”.
Raramente solo state così importanti 250 parole contenute nei 5 paragrafi dei Trattati europei, dai quali improvvisamente dipende il futuro del Regno Unito dopo la Brexit e la conseguente decisione di uscire dall’UE.
L’Articolo 50 del Trattato di Lisbona definisce le modalità con cui un Paese dell’UE può uscire volontariamente dall’Unione. Le parole contenute, però, sono vaghe, come se i loro legislatori non pensassero sarebbero mai servite.
Oggi, invece, con la vittoria del SI alla Brexit, l’Articolo 50 è al centro del dibattito e delle discussioni tra il Regno Unito ed i leader dell’UE.
L’esito del referendum sulla Brexit nel Regno Unito sta provocando un forte scossone nel mondo politico, finanziario ed economico. E, mentre il Primo Ministro, David Cameron, rassegna le proprie dimissioni ed i leader europei radunano i loro colleghi di partito ed ministri per decidere sul da farsi, l’incertezza regna sovrana. Ma se i più si affannano ad elencare le conseguenze negative dall’uscita del Regno Unito dall’Ue, è opportuno analizzare anche gli effetti positivi derivanti dalla Brexit.
Secondo le stime del think tank Open Europe, favorevole ad un’Europa riformata rispetto alla struttura attuale, le tasse scenderanno per i cittadini britannici, visto che il Regno Unito risparmierà 8,5 miliardi di sterline non dovendo più dare fondi all’Ue (differenza tra fondi ricevuti e forniti). Inoltre, nella migliore delle ipotesi il Pil potrebbe salire dell’1,6%, ma solo se Londra riuscirà a rinegoziare gli accordi commerciali, ottenendo uno schema di libero scambio ed una partnership improntata su una “deregulation ambiziosa”.
Di contro, con lo storico voto che ha sancito l’uscita del Regno Unito dall’UE, numerose sono state le ripercussioni negative sull’economia a livello mondiale: nel giro di poche ore il Primo Ministro Cameron ha rassegnato le proprie dimissioni, per i mercati finanziari si è registrata la giornata più drammatica dal 2008, la sterlina ha subito un notevole crollo.
Il Referendum ha determinato, poi, anche un’ondata di ribassi nella Borsa, oltre all’aumento del valore dell’oro. Dunque, l’uscita del Regno Unito dall’UE dovrebbe causare un rallentamento della crescita globale e quindi dei consumi di greggio.
Passando ora ad una analisi meno teorico-giurica e più pratica, i cambiamenti in concreto potrebbero così sintetizzarsi:
Per i cittadini che vivono in Gran Bretagna, per ciò che concerne il Visto, ossia il permesso d’ingresso, se finora bastava solo la carta d’identità per muoversi all’interno dell’area Schengen, con l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, è necessario per i cittadini britannici richiedere un visto per viaggiare in Europa continentale.
I Viaggi, le vacanze, gli spostamenti nel Vecchio Continente saranno più costosi per i britannici: non solo perchè la caduta della sterlina nei confronti dell’euro ridurrà inevitabilmente il loro potere d’acquisto, ma anche in virtù di accordi comunitari che permettono a qualsiasi compagnia aerea europea di operare senza limiti di frequenza, capacità o prezzo nello spazio aereo europeo. Non a caso la nota compagnia aerea Ryanair, così come l’altrettanto famosa Easy Jet, offrivano biglietti in supersconto in caso di vittoria del “Remain”.
Inoltre, da un punto di vista lavorativo si stima che l’uscita del Regno Unito dall’Ue sia accompagnata da delocalizzazione di numerosi posti di lavoro nell’ambito delle grandi banche: per esempio Dimon, amministratore delegato di JP Morgan, ha avvertito all’inizio di giugno che la banca americana, che impiega oltre 16 mila persone nel Regno Unito, in sei posti diversi, potrebbe rimuovere tra le 1000 e le 4000 persone, in particolare nelle funzioni di back-office. Morgan Stanley prevede di trasferire 1.000 persone delle 6.000 che ha nel Regno Unito verso l’Ue, mentre Goldman Sachs dovrebbe trasferirne almeno 1.600.
Sono circa 1,3 milioni gli espatriati britannici che vivono in altri Paesi europei, per esempio in Spagna ((319.000), Irlanda (249.000), Francia (171.000) o Germania (100.000).
Conseguenze negative si abbatteranno anche sui pensionati che vedranno disciolte come neve al sole le loro pensioni a causa del forte deprezzamento della sterlina, che potrebbe notevolmente compromettere anche i loro investimenti immobiliari nel loro Paese di adozione.
Per quanto riguarda la copertura sanitaria, in molti Paesi europei, gli inglesi perderanno molti benefici, poiché essi ricevono assistenza dal sistema sanitario nazionale, i cui costi vengono poi pagati dalla sanità pubblica britannica nell’ambito di accordi bilaterali. Sarà a rischio anche il destino professionale delle migliaia di funzionari britannici che lavorano per le istituzioni europee, in particolare a Bruxelles.
Geograficamente, la Spagna potrebbe essere tentata di chiudere il confine con Gibilterra, uno sperone di 6 chilometri quadrati dove vivono 33 mila britannici. Proprio per scongiurare questo pericolo, infatti, Gibilterra ha visto un trionfo dei Remain. Più a nord, la Brexit potrebbe anche creare un confine tra Irlanda del Nord e Irlanda, rallentando il flusso di migliaia di persone ogni giorno. Senza contare la volontà indipendentista della Scozia, che si è schierata per il Remain.
Trasferirsi a Londra perderà convenienza, sarà penalizzato chi investe in fondi ed obbligazioni, le merci non saranno più libere di muoversi attraverso i confini UK/UE, le importazioni diventeranno imponibili, e potrebbe finire il regime facilitato per la libera circolazione dei professionisti e dei lavoratori autonomi.
In sintesi, quindi, come più volte paventato da tanti analisti e studiosi si prospetta una situazione di non facile e veloce soluzione sia da un punto di vista economico, sia giuridico.
Gli scenari elencati sono del tutto nuovi ed inesplorati e potrebbero arrecare alla GB gravi squilibri nel breve e medio termine, ma anche situazioni di elevata criticità per l’Unione Europea nel lungo termine; senza parlare poi del rischio di emulazione negli altri Paesi europei, che a detta di molti, appare concreto e con esiti di più forte rilevanza rispetto a quello che attualmente si sta verificando.
A fronte di tale situazione, però, non possiamo ignorare la conclamata incapacità dell’Unione, in quanto istituzione, di trovare delle soluzioni concrete ai problemi che hanno portato alla Brexit e che si pongono come elemento base in grado di favorire la possibile uscita di altri Paesi dall’ Unione.
Londra, ora, è più lontana.