Anche il Parlamento italiano tenta di arginare i ricatti video

Di Antonio De Lucia -

Con la definizione revenge porn si identifica la prassi, ormai sempre più frequente, consistente nel pubblicare in rete, a mo’ di ricatto, immagini o filmati a sfondo esplicitamente sessuale, senza l’approvazione delle persone coinvolte. Il fenomeno in esame con la sempre più crescente digitalizzazione e con l’adesione massiva ai social network ha avuto negli ultimi anni un incremento sempre più consistente.

Dai personaggi più noti ai comuni cittadini non si contano, oramai, i casi in cui si sono verificate storie di ricatto o vendetta a sfondo sessuale mediante l’utilizzo di tale modus operandi.

In Italia, ad oggi, tale condotta non è prevista nell’ordinamento italiano come autonoma fattispecie di reato e, il più delle volte, viene ricondotta sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza al reato di diffamazione così come p.e p. ex art. 595 c.p. che punisce con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032 chiunque, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione. Nel caso in cui l’offesa è recata attraverso il mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, è prevista la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o la multa non inferiore a euro 516.

Vi sono, poi, altre fattispecie di reato che sembrano prestarsi alla tutela della pubblicazione illecita di video o immagini sessualmente esplicite come, ad esempio, l’illecito trattamento dei dati personali, il c.d. stalking, il reato di diffusione di riprese e registrazione fraudolente e quello di interferenze illecite nella vita privata e, infine, il reato di produzione e divulgazione di materiale pedopornografico.

La giurisprudenza, in alcuni interventi ha escluso la configurabilità del reato di diffamazione a fronte della condotta di chi mediante un post su un social network esprima, con frasi non offensive né ingiuriose, il suo apprezzamento e la sua condivisione con riferimento ad espressioni e critiche diffamatorie utilizzate in precedenza da altri e condivise via internet (Cass., Sez. V, Sentenza 21 settembre 2015, n. 3981); ed ancora la Cass. pen., (Sez. V, Sentenza 19 febbraio 2018, n. 16751) ha escluso la responsabilità dell’amministratore di un sito internet ai sensi dell’art. 57 c.p., asserendo che tale norma è applicabile alle sole testate giornalistiche telematiche e non anche ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, facebook).

A ben vedere, però, gli istituti citati e le pronunce prese in esame sembrano delineare un modus operandi non in grado di gestire in maniera organica e corretta la fattispecie in esame ed un disegno di legge che prevede una fattispecie ad hoc, volta a sanzionare questo fenomeno appare necessario.

A tal proposito merita attenzione la recente proposta di legge depositata al Senato.

Il testo tende all’introduzione nel codice penale dell’articolo 612-ter, dal titolo “Pubblicazione e diffusione di immagini o video privati sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate”. Il provvedimento, nella sua struttura attualmente prevista è comunque suddiviso  in tre articoli, che prevedono una sanzione non solo per chi pubblica immagini o video privati, ma anche per chi li diffonde. Nel provvedimento si eccepisce la possibilità di introdurre pene severe, nel caso ci sia un rapporto tra autore e vittima, oppure nei casi in cui tali abusi portino la vittima alla morte. Nel caso in cui la vittima arrivi all’auto-soppressione, anche in presenza di una non intenzionalità del colpevole, è prevista la reclusione da cinque a dieci anni.  Dunque, con la proposta in esame non sarebbero punite soltanto le persone che pubblicano immagini o video privati (senza consenso), ma anche coloro che li diffondono, per questi, la pena e la multa sarebbero ridotte della metà rispetto a quella comminata ai responsabili di un’azione considerata da molti “paragonabile a una vera e propria violenza sessuale”.

Ipotesi di pena “aggravate” in ragione del “rapporto esistente tra autore e vittima”;

se  foto e filmati vengono messi in rete da un coniuge, da un ex partner, o comunque da una persona legata alla vittima da un legame affettivo, la legge stabilisce il carcere da uno a 4 anni. La reclusione, è prevista da due a sette anni e la multa da 1.500 a 3mila euro “nell’ipotesi in cui il fatto venga commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da chi ha contratto un’unione civile, o da chi è legato alla persona offesa da una relazione affettiva o lo è stato nel passato”. Inoltre, se la pubblicazione di “immagini o video privati sessualmente espliciti provoca la morte della persona offesa” la reclusione, per gli autori, andrebbe dai sei ai dodici anni e la multa da 10mila a 80mila euro. Chi contribuisce a rendere virale il contenuto potrà essere invece sanzionato con una multa da75 a 250 euro. Per il titolare del sito internet o del social media di “oscurare, rimuovere o bloccare le immagini o i video privati sessualmente espliciti” quanto al bilanciamento delle circostanze del reato, non vi è prevalenza delle attenuanti fatta eccezione per  quelle previste agli articoli 94 e 114 del codice penale, da porre in essere relativamente alla quantità di pena determinata ai sensi della predetta circostanza aggravante.

Condizione di procedibilità del reato dovrebbe essere la querela irrevocabile della persona offesa entro il termine di sei mesi, mentre per le ipotesi più gravi si procede d’ufficio. La legge sul revenge porn punterà, dunque, ad accelerare i tempi per la rimozione dei contenuti online, prima che diventino virali e l’operazione di pulizia inefficace. Infine, la proposta di legge eccepisce la necessità di dar vita ad attività didattiche sull’educazione all’uso della rete e sull’assistenza alle vittime. Altre misure previste: “Entro trenta giorni dall’entrata in vigore della legge, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, sentito il Ministero della Giustizia” potrà adottare “linee di orientamento per la prevenzione nelle scuole del delitto di ‘Pubblicazione e diffusione di immagini o video privati sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate'”. L’obiettivo sembra essere quello di rendere piattaforme e social network responsabili del monitoraggio dei contenuti che vengono scambiati, come avviene in Germania.  La norma sul “revenge porn”, che ancora in Italia non esiste, regola invece stati come Germania, Israele, Regno Unito e 34 stati americani.

Prevenzione e repressione, con un efficace coinvolgimento della educazione per i più giovani a comprendere la gravità del reato come si legge nel testo in esame, quindi: “La finalità cui la proposta di legge tende, è di educare ad un uso consapevole di internet e dei social network che passi, innanzitutto, attraverso la conoscenza dei diritti e dei doveri connessi all’utilizzo delle tecnologie informatiche”. Per questa proposta di legge non sono previsti “oneri per la finanza pubblica”.

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