La Suprema Corte interviene nuovamente sui limiti degli spazi carcerari in attinenza ai principi della convenzione Edu

Di Marilisa De Nigris -

Le condizioni carcerarie in Italia, la loro gestione ed i regimi detentivi applicati sono stati nuovamente oggetto di attenzione da parte della Suprema Corte, come risulta dalla sentenza del 10 gennaio 2019 n.1562.

Il caso in esame vede coinvolto P.S. nella sua richiesta di consegna alle Autorità giudiziarie rumene.

La Corte di Appello di Roma respingeva l’istanza in questione adducendo come motivazione principale il mancato rispetto dello spazio minimo relativamente a quanto previsto dal mandato di arresto europeo calcolato in tre metri quadri, fermo restando la possibilità del detenuto di potersi muovere liberamente tra i mobili.

La Cassazione giudica fondato il Ricorso proposto dal Procuratore generale avverso la sentenza della Corte d’Appello romana.

In effetti, la Corte di Appello, come rilevato dall’Ufficio ricorrente, non aveva correttamente applicato i suddetti principi non avendo accertato il c.d. spazio minimo secondo le linee guida previste relativamente alla nozione di arredo effettivamente limitativo della libertà di movimento.

L’atto era, inoltre, lacunoso in quanto mancava una concreta valutazione della presenza dei c.d. fattori compensativi, in quanto la Corte di Appello si limitava essenzialmente ad isolare il fattore spazio dalle altre circostanze della detenzione, a detrimento della considerazione complessiva delle stesse.

In assenza di tale requisito si prefigura la presunzione di un trattamento inumano o degradante discutibile anche in relazione ai criteri altrettanto validi in grado di compensare la sua mancanza, come, ad esempio: «il grado di libertà di circolazione del ristretto e l’offerta di attività all’esterno della cella nonché le buone condizioni complessive dell’istituto e l’assenza di altri aspetti negativi del trattamento in rapporto a condizioni igieniche e servizi forniti».

Nello stesso ambito, inoltre, è da non sottovalutare quanto sancito dall’ art. 3 CEDU a tenore del quale: Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.

I giudici di Strasburgo, in passato, hanno già affrontato tale questione, uno dei casi più celebri è: “Mursic contro Croazia”, ricorso n. 7334/13 a cura della Grande Camera, datato 20 ottobre 2016, avente ad oggetto il trasferimento e la permanenza del ricorrente in un carcere nel quale era stato detenuto  in condizioni inumane e degradanti in celle sovraffollate e con uno spazio personale inferiore ai tre metri quadri;  ricordiamo poi la sentenza della Corte EDU del 25/4/2017, Rezmives ed altri c. Romania.

Nel caso di cui ci occupiamo, la Cassazione nella sua Pronuncia evidenzia chiaramente come: «La Corte ha sottolineato in più occasioni che ai sensi dell’articolo 3 non può determinare una volta per tutte un numero specifico di metri quadri da attribuire a un detenuto per rispettare la Convenzione. Ritiene infatti che molti altri fattori, come la durata della privazione della libertà, le possibilità di esercizio all’aperto o lo stato di salute fisica e mentale del detenuto, abbiano un ruolo importante nel valutare le condizioni di detenzione rispetto alle garanzie dell’articolo 3».

La sentenza prende in considerazione i principi fondamentali enunciati sia dall’articolo 3 della Convenzione Europea, sia dai principi minimali identificati dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), che in data 2015, ha manifestato la sua posizione in merito.

Secondo quanto affrontato, la possibilità di riconoscere che si sia concretizzato un trattamento da ritenere punibile alla luce dell’art.3 CEDU, è suscettibile di discrezionalità da parte del giudice che dovrà prendere in considerazione i requisiti necessari per provare che le sofferenze patite dal reo abbiano raggiunto la soglia “dell’inumano e degradante”.

Per poter valutare, il giudice dovrà prendere in considerazione una serie di fattori positivi, come il trascorrere una parte considerevole della giornata al di fuori dalle mura carcerarie, la partecipazione in laboratori, in corsi o in altre attività, al contempo dovrà prendere in considerazione anche fattori negativi che  rappresentano il precario stato della qualità della vita, come il numero di letti insufficienti, l’insalubrità o le infestazioni parassitarie dovute a scarse condizioni igienico-sanitarie.

Ne consegue, quindi, l’annullamento della sentenza impugnata affinchè vengano acquisite ulteriori informazioni, perché sia nuovamente esaminato il trattamento carcerario riservato in Romania al consegnando, alla luce dei principi di diritto sopra indicati.

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