Gli investimenti arbitrali internazionali: il principio di buona fede e l’approccio “nemo auditur propriam turpidinem allegans”

Di Isabella Fascì -

Le disposizioni regolamentari inserite in un trattato ed inerenti la competenza di un Tribunale arbitrale devono essere raccordate con i principi generali di diritto internazionale o interpretate sulla base di essi.

Tali principi, chiamati a ricoprire tale fondamentale ruolo, sono la bona fide e “nemo auditur propriam turpidinem allegans”, dal suo brocardo latino.[1]

È bene ricordare che la public policy internazionale fa spesso affidamento a tali principi, in quanto essa si basa fondamentalmente sull’ammissibilità dei claims, piuttosto che sulla giurisdizione del Tribunale adito.

In altri termini, tale ricorso deve essere posto in relazione con le norme relative all’interpretazione dei Trattati ai sensi degli artt. 31 e 32 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati.[2]

Infatti, secondo quando disposto dall’art. 31(1) un Trattato deve essere interpretato secondo buona fede, raccordandolo sia all’ordinario significato affidato al medesimo sia alla luce delle sue concrete finalità. Come sottolineato da autorevole dottrina, il termine ‘buona fede’ indica una modalità di interpretazione, sebbene non abbia una funzione completamente indipendente.[3]

Può, altresì, essere sostenuto che un approccio interpretativo che cerchi di collocare in una sola disposizione sia la definizione di investimento che il principio di buona fede sia fedele a quanto previsto dall’art. 33(1) della Convenzione di Vienna, ai sensi del quale un trattato deve essere interpretato tenendo in considerazione ogni regola di diritto internazionale applicabile tra le parti.[4] Tale regola riflette il significato attribuito al principio di integrazione sistematica,[5] vale a dire la tecnica di controllo circa le norme e i principi da adottare.

I principi generali in esame possono certamente chiarire la scelta tra le interpretazioni concorrenti di una disposizione inserita nel trattato, ma non possono fornire una base per limitare la giurisdizione di un Tribunale internazionale attraverso il chiarimento di un’espressa previsione di legge che disciplina quella determinata giurisdizione.

A contrario, il principio di separabilità e di “competence-competence”, sono indistintamente applicati alla giurisdizione di un Tribunale internazionale, a prescindere dall’ipotesi se vi sia o meno un espresso riferimento a questi, oppure un’incorporazione indiretta tramite il riferimento ad una serie di regole arbitrali.

Tuttavia, la particolare natura del principio di buona fede deve essere chiarita attraverso un’analisi comparativa dei sistemi nazionali.[6] Infatti, i Tribunali che invocano i principi di diritto internazionale con lo scopo di giustificare un approccio giurisdizionale verso un presupposto di illegittimità hanno riconosciuto la sovrapposizione della duplice manifestazione dei principi nei differenti sistemi giuridici; in particolare il principio di good faith appare un concetto ‘Janus’ avente un aspetto sia nazionale che internazionale.[7]

Lo scopo dei meccanismi internazionali dediti alla protezione degli investimenti, così come ribadito nel caso Phoenix c. Czech Republic, è quello di escludere dal raggio di azione gli investimenti compiuti in violazione della legge dello Stato ospite o del principio di buona fede, soprattutto, se ottenuti mediante falsa rappresentazione, frode o corruzione.[8] Precisamente, nel caso in esame si è evidenziato come tale principio non sia limitato alle questioni procedurali, ma abbia un ruolo decisivo anche nelle questioni di merito.[9]

Tuttavia, è difficile controbattere alla conclusione che il ricorso ai principi analizzati – unitamente a quelli generalmente riconosciuti dal diritto internazionale – modifichino concretamente l’accordo arbitrale concluso tra il ricorrente e lo Stato convenuto.[10]

[1] Sul punto si vedano i casi: Incesya Vallesoletane, para. 232-237; Hamester v. Ghana, para. 123 in Z. DOUGLAS, ‘The Plea of Illegality in Investment Treaty Arbitration’, ICSID Review, Vol. 29, No. 1 (2014) pp. 155-186, a p. 169.

[2] A beneficio di chiarezza: “Art. 31 Regola generale per l’interpretazione 1. Un trattato deve essere interpretato in buona fede in base al senso comune da attribuire ai termini del trattato nel loro contesto ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo. 2. Ai fini dell’interpretazione di un trattato, il contesto comprende, oltre al testo, preambolo e allegati inclusi: a) ogni accordo relativo al trattato e che sia intervenuto tra tutte le parti in occasione della sua conclusione; b) ogni strumento disposto da una o più parti in occasione della conclusione del trattato ed accettato dalle altre parti in quanto strumento relativo al trattato. 3. Verrà tenuto conto, oltre che del contesto: a) di ogni accordo ulteriore intervenuto tra le parti circa l’interpretazione del trattato o l’attuazione delle disposizioni in esso contenute; b) di ogni ulteriore pratica seguita nell’applicazione del trattato con la quale venga accertato l’accordo delle parti relativamente all’interpretazione del trattato; c) di ogni norma pertinente di diritto internazionale, applicabile alle relazioni fra le parti. 4. Si ritiene che un termine o un’espressione abbiano un significato particolare se verrà accertato che tale era l’intenzione delle parti.

Art. 32 Mezzi complementari di interpretazione Si potrà ricorrere a mezzi complementari d’interpretazione, ed in particolare ai lavori preparatori ed alle circostanze nelle quali il trattato è stato concluso, allo scopo, sia di confermare il significato risultante dall’applicazione dell’articolo 31, che di definire un significato quando l’interpretazione data in base all’articolo 31: a) lasci il significato ambiguo od oscuro; o b) porti ad un risultato chiaramente assurdo o non ragionevole.”

[3] R. GARDNER, Treaty Interpretation (OUP 2008) 152.

[4] L’art. 33(1) della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati disciplina: “Quando un trattato è stato autenticato in due o più lingue, il suo testo fa fede in ciascuna di tali lingue, a meno che il trattato non preveda o le parti non convengano fra loro che, in caso di divergenza, prevarrà un determinato testo.”

[5] Si veda il report condotto dalla Commissione di diritto internazionale (n. 65) para. 41 Off. Sul punto anche CAMPBELL MCLACHLAN, ‘The Principles of Systematic Integration and Article 31(3)(c) of the Vienna Convention’ (2005) 54 ILCQ 279-320.

[6] Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, art. 38(1)(c): “La Corte, cui è affidata la missione di regolare conformemente al diritto inter- nazionale le divergenze che le sono sottoposte, applica: 1. le convenzioni internazionali, generali o speciali, che istituiscono delle regole espressamente riconosciute dagli Stati in lite; 2. la consuetudine internazionale che attesta una pratica generale accettata co- me diritto; 3. i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili; 4. con riserva della disposizione dell’articolo 59, le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più autorevoli delle varie nazioni, come mezzi ausiliari per determinare le norme giuridiche.”

[7] Phoenix Action Limited v. Czech Republic, ICSID Case No. ARB/06/5, para. 109: “The Washington Convention as well as the BIT have to be construed with due regard to the international principle of good faith.77 The principle of good faith is also recognized in most, if not all, domestic legal systems. It appears therefore as a kind of “Janus concept”, with one face looking at the national legal order and one at the international legal order. And in most cases, but not in all, a violation of the international principle of good faith and a violation of the national principle of good faith go hand in hand.”

[8] Cfr., para. 100: “The purpose of the international mechanism of protection of investment through ICSID arbitration cannot be to protect investments made in violation of the laws of the host State68 or investments not made in good faith, obtained for example through misrepresentations, concealments or corruption, or amounting to an abuse of the international ICSID arbitration system. In other words, the purpose of international protection is to protect legal and bona fide investments.”

[9] Cfr., para. 143: “is not so limited and may also play its role when it comes to the analysis of the substantive protection for investments under international treaties, which is a matter for the merits.”

[10] Cfr., Z. DOUGLAS, ‘The Plea of Illegality in Investment Treaty Arbitration’, ICSID Review, Vol. 29, No. 1 (2014) pp. 155-186, a p. 172.

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